Personale

La Consulta «boccia» la proroga dei contratti di lavoro dei dirigenti della giunta della Regione Lombardia

La Corte non giustifica la scelta nemmeno in funzione dell'emergenza pandemica

di Pietro Verna

Le norme che incidono sul rapporto di lavoro dei dipendenti delle regioni sono ascrivibili alla materia ordinamento civile, attribuita allo Stato dall' articolo 117, comma 2, lettera l), della Costituzione.

Lo ha stabilito la Consulta (sentenza n. 84/2022) che ha dichiarato l'incostituzionalità dell'articolo 3 della legge della Regione Lombardia 19 maggio 2021 n. 7 (Legge di semplificazione 2021) nella parte in cui dispone che « «[i]n considerazione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19 e della necessità di assicurare la funzionalità operativa delle strutture della Giunta regionale, tenuto altresì conto delle specifiche competenze ed esperienze professionali acquisite, i contratti di lavoro subordinato a tempo determinato del personale con qualifica dirigenziale presso la Giunta, stipulati ai sensi dell'articolo 19, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), previa selezione pubblica, in essere alla data di entrata in vigore della presente legge, sono prorogati di dodici mesi rispetto alla loro attuale scadenza».

La Regione aveva sostenuto che la norma era stata introdotta in conseguenza della sospensione delle procedure concorsuali per l'accesso al pubblico impiego prevista dall'articolo 87, comma 5, del decreto legge 17 marzo 2020 n. 18 (Misure connesse all'emergenza epidemiologica da Covid-19) e, pertanto, di aver agito allo scopo di «evitare un vuoto amministrativo e di assicurare la funzionalità degli uffici della Giunta regionale». Tesi che non ha colto nel segno.

La Consulta ha stabilito che la norma regionale invade le attribuzioni dello Stato in materia di ordinamento civile («il conferimento degli incarichi dirigenziali si realizza mediante la stipulazione di un contratto di lavoro di diritto privato») e non garantisce il rispetto dei limiti temporali degli incarichi dirigenziali previsti dall'articolo 19, comma 6, del decreto legislativo 165/2001 ( tre anni per gli incarichi "apicali" o di funzione dirigenziale di livello generale e quello di cinque anni per gli incarichi di direzione degli uffici di livello dirigenziale non generale). Da qui la conferma dell'orientamento della giurisprudenza costituzionale secondo cui:
• gli interventi legislativi che incidono sui rapporti lavorativi dei dipendenti delle Regioni «sono ascrivibili alla materia "ordinamento civile", di esclusiva competenza statale, «dovendosi per converso ricondurre alla materia residuale dell'organizzazione amministrativa regionale quelli che intervengono "a monte", in una fase antecedente all'instaurazione del rapporto di lavoro» (sentenze n. 39 e n. 9 del 2022; n. 195, n. 25 e n. 20 del 2021; n. 273, n. 194 e n. 149 del 2012: «l'impiego pubblico anche regionale deve ricondursi, per i profili privatizzati del rapporto, all'ordinamento civile e quindi alla competenza legislativa statale esclusiva, mentre i profili "pubblicistico-organizzativi" rientrano nell'ordinamento e organizzazione amministrativa regionale, e quindi appartengono alla competenza legislativa residuale della Regione»;
• il rapporto di impiego alle dipendenze di Regioni ed enti locali è retto dalla disciplina generale dei rapporti di lavoro tra privati ed è, perciò, soggetto alle regole che garantiscono l'uniformità di tale tipo di rapporti», dimodoché «la legge statale, in tutti i casi in cui interviene a conformare gli istituti del rapporto di impiego attraverso norme che si impongono all'autonomia privata con il carattere dell'inderogabilità, costituisce un limite alla competenza residuale regionale in materia di organizzazione amministrativa delle Regioni e degli enti pubblici regionali e dello stato giuridico ed economico del relativo personale» ( sentenze n. 233/2006, n. 380/2004, n. 274/2003 e n. 180/2015 che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 42, commi 4 e 5, della legge della Regione Basilicata 18 agosto 2014, n. 26 "Assestamento del bilancio di previsione per l'esercizio finanziario 2014 e del bilancio pluriennale 2014-2016" che prevedeva «la possibilità di attribuire, nelle more dell'espletamento dei concorsi pubblici per l'accesso alla qualifica dirigenziale e, comunque, per non oltre due anni, le funzioni dirigenziali a dipendenti a tempo indeterminato di ruolo dell'amministrazione regionale appartenenti alla categoria D3 giuridico del comparto Regioni-Enti locali».

Fermo restando che i giudici costituzionali hanno anche evidenziato che le procedure selettive per il conferimento degli incarichi dirigenziali potevano essere svolte «in via telematica» come previsto dall' articolo 87, comma 5, del decreto legge 18/2020. Disposizione che è stata confermata dal decreto legge 1° aprile 2021 n. 44 (Misure urgenti per il contenimento dell'epidemia da COVID-19, in materia di vaccinazioni anti SARS-CoV-2, di giustizia e di concorsi pubblici), convertito dalla legge 28 maggio 2021 n. 76.

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