I temi di NT+Rassegna di giurisprudenza

Le ultime pronunce in materia di edilizia

di Esper Tedeschi

Permesso di costruire – Decadenza – Inizio dei lavori – Onere della prova
L'attività di demolizione di un edificio che presenta una certa consistenza edilizia si pone come manifestazione, effettiva e concreta, della volontà di esercitare lo jus aedificandi autorizzato con il permesso di costruire e costituisce, dunque, un fatto idoneo ad impedire la decadenza di cui all'art. 15, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001. Peraltro, l'onere della prova del mancato inizio dei lavori assentiti con licenza edilizia incombe al Comune che ne dichiara la decadenza, alla stregua del principio generale in forza del quale i presupposti dell'atto adottato devono essere accertati dall'autorità emanante (Cons. Stato, Sez. V, 11 aprile 1990 n. 343).
Consiglio di Stato, sez. IV, 23 maggio 2022, 4033

Nozione di ristrutturazione – Ristrutturazione c.d. “pesante” – Ripristino di edifici demoliti o crollati – Demolizione - Costruzione – Volume preesistente
La nozione di “ristrutturazione”, vincolante anche per il legislatore regionale, accanto alla originaria e primigenia matrice meramente conservativa (intesa come insieme sistematico di opere sull'esistente volta alla formazione di un corpo edilizio strutturalmente e funzionalmente innovativo), ricomprende al suo interno interventi ben più radicali, quali il ripristino di edifici demoliti o crollati e la demolizione-ricostruzione, i quali devono in generale mantenersi rispettosi unicamente del “volume preesistente”, potendo modificarsi in sede di intervento tutti gli altri elementi identificativi dell'immobile precedente: sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche in aree non urbane o vincolate. Il legislatore ha espressamente equiparato all'intervento di contestuale demolizione e ricostruzione proprio quello di “ripristino di edifici crollati o demoliti”, accomunati dalla medesima finalità di contenimento del consumo di suolo. Invero, l'indirizzo tradizionale, secondo cui per aversi ristrutturazione edilizia sarebbe comunque necessaria la preesistenza di un fabbricato da ristrutturare, cioè di un fabbricato dotato di quelle componenti essenziali - murature perimetrali, strutture orizzontali e copertura - idonee come tali ad assicurargli un minimo di consistenza, sembra destinato al superamento, alla luce della inequivocabile equiparazione normativa tra “demolizione e ricostruzione” e “ripristino di edifici crollati e demoliti”, ovviamente purché anche di questi sia rinvenibile traccia ed accertabile l'originaria consistenza con un'indagine tecnica. Anche il Consiglio di Stato ha avuto modo di precisare (Sez. VI, 3.10.19, n. 6654) che “la situazione è cambiata invece a seguito di una ben precisa modifica legislativa, dovuta al d.l. 21 luglio 2013 n. 69, e quindi posteriore al provvedimento impugnato, che ha inserito nella lettera d) del comma 1 dell'art. 3 T.U…il riferimento agli interventi “volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione” che quindi ora rientrano nel concetto di ristrutturazione “purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza”. Rispetto al regime previgente, quindi, il concetto di ristrutturazione è stato allargato al caso di edificio che più non esiste, di cui però la consistenza originaria si può ricostruire, evidentemente con un'indagine tecnica, ipotesi che la giurisprudenza in precedenza escludeva”.
T.A.R. Lazio, sede di Latina, sez. I, 27 maggio 2022, n. 505

Permesso di costruire – Controinteressati – Proprietari dei fondi viciniori
Secondo una consolidata giurisprudenza (ex multis, T.A.R. Molise, 8 marzo 2018, n. 124), i proprietari dei fondi viciniori a quello cui si riferisce la domanda di permesso di costruire, pur essendo legittimati ad impugnare il provvedimento di accoglimento di tale domanda, non si configurano - di norma - come controinteressati ai quali il ricorso dev'essere notificato a pena di inammissibilità.
TRGA Trento, sez. Un., 30 maggio 2022, n. 104

Piano di lottizzazione – Obbligazione pecuniaria – Contributo – Restituzione
La fonte dell'obbligazione pecuniaria connessa alla lottizzazione non è il singolo titolo edilizio, il cui contenuto, con riguardo agli oneri concessori è predeterminato, bensì la convenzione urbanistica, il cui contenuto è frutto di una negoziazione tra le parti. Sicché è irrilevante che non sia realizzato il progetto edificatorio per il quale il privato ha effettuato il pagamento. La controprestazione pecuniaria a carico della ditta lottizzante è comunque dovuta, salvo che la convenzione urbanistica non sia risolta o rescissa, o annullata o dichiarate nulla. Pertanto il privato non può richiedere la restituzione di quanto versato per la realizzazione del piano di lottizzazione, adducendo a supporto della domanda che l'Amministrazione ha già restituito quanto pagato a titolo di contributo di costruzione.
T.A.R. Lombardia, sede di Brescia, sez. I, 31 maggio 2022, n. 544

Abuso edilizio – Responsabilità – Terreno demaniale – Utilizzatore del bene – Disponibilità dell'opera abusiva
Per la verifica della legittimità dell'emanazione di un ordine di rimozione di un manufatto abusivo realizzato su un'area demaniale, è sufficiente la qualità di utilizzatore del medesimo manufatto. Invero, è “responsabile dell'abuso” non solamente chi ha posto in essere materialmente la violazione contestata, ma anche colui che è subentrato nella titolarità del bene, in modo da potersi avvalere nel tempo successivo alla realizzazione dell'utilità derivante dal bene stesso senza titolo, e che perciò, avendo la disponibilità materiale di detto bene, non è esentato dal dovere di ripristino dello stato dei luoghi, pur senza essere l'autore materiale dell'abuso preesistente. Del resto, diversamente opinando si giungerebbe a conclusioni contrarie alla ratio normativa, nel senso che basterebbe il passaggio del bene ad altro soggetto per eludere la regola che impone il ripristino dello stato dei luoghi, con il risultato paradossale – certamente contrario alla ratio legis – di consentire l'immunità delle opere da eventuali misure ripristinatorie (e dunque di fatto sanate) per effetto della mera alienazione da parte di colui che le ha realizzate (cfr. C.d.S., Sez. VI, n. 4880/2015, cit.). Nel senso dell'ora vista conclusione depone, ancora, la considerazione che l'abuso edilizio dà luogo a un'alterazione permanente dell'ordine urbanistico, laddove l'ordinanza di demolizione ha lo scopo di ripristinare l'ordine stesso, a prescindere dall'individuazione dell'autore dell'abuso (C.d.S., Sez. VI, n. 4880/2015 cit.; cfr., altresì, Sez. IV, 12 aprile 2011, n. 2266, secondo cui l'ordinanza di demolizione di opere abusive realizzate su terreno demaniale va rivolto nei confronti di chi abbia la disponibilità dell'opera, indipendentemente dal fatto che l'abbia concretamente realizzata, rilevando tale circostanza sotto il profilo della responsabilità penale, ma non ai fini della legittimità dell'ordine di demolizione). Da ultimo, si osserva in aggiunta che colui che ha la disponibilità del manufatto abusivo e lo utilizza, pur non avendolo materialmente realizzato, va qualificato come “responsabile dell'abuso” anche sotto il profilo dell'elemento soggettivo, poiché non solo non pone fine alla descritta situazione di violazione, con effetti permanenti, della disciplina urbanistico-edilizia, ma anzi trae vantaggio dalla violazione stessa, sfruttandola a proprio beneficio.
T.A.R. Puglia, sede di Lecce, sez. I, 3 giugno 2022, n. 932

Edilizia – Comproprietà – Legittimazione a richiedere il permesso di costruire – Dichiarazione di avallo del comproprietario – Autotutela
La disposizione di cui all'art. 11 del D.P.R. n. 380 del 2001 prevede che “il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo”. Tale prescrizione è dalla giurisprudenza interpretata, nel caso di comproprietà del bene, nel senso che il soggetto legittimato alla richiesta del titolo abilitativo edilizio è colui che ha la totale disponibilità del bene, da intendersi quale intera e non solo parziale proprietà dello stesso, poiché “non può, infatti, riconoscersi legittimazione al semplice proprietario pro quota ovvero al comproprietario di un immobile, e ciò per l'evidente ragione che diversamente considerando il contegno tenuto da quest'ultimo potrebbe pregiudicare i diritti e gli interessi qualificati dei soggetti con cui condivida la propria posizione giuridica sul bene oggetto di provvedimento” (Consiglio di Stato, sez. II, 12 marzo 2020 n. 1766). La domanda di rilascio di titolo edilizio deve, quindi, provenire congiuntamente da tutti i soggetti che vantano il diritto di proprietà sull'immobile (Consiglio di Stato, sez. VI, 29 agosto 2019 n. 5947). La giurisprudenza ha, altresì, avuto modo di precisare che “il comproprietario è singolarmente legittimato solo con l'avallo, esplicito o implicito degli altri” (Consiglio di Stato, sez. VI, 29 agosto 2019 n. 5947), così che “In carenza di tale situazione, il titolo edilizio, volto alla realizzazione o al consolidamento dello stato realizzativo di operazioni incidenti su parti non rientranti nell'esclusiva disponibilità del richiedente, non potrà essere né richiesto, non avendo il soggetto titolo per proporre la relativa istanza, né, ovviamente, rilasciato, non sussistendo i presupposti per l'emissione dello stesso” (Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, 2 maggio 2022 n. 532). Pertanto, qualora il titolo edilizio sia stato rilasciato sul presupposto della dichiarazione di uno dei proprietari in merito alla “proprietà” dell'immobile – da intendersi, in difetto di ulteriori precisazioni, esclusiva – deve considerarsi legittimo il provvedimento in autotutela successivamente adottato dal Comune.
T.A.R. Sardegna, Cagliari, sez. I, 7 giugno 2022, n. 398

Accesso – Vicinitas attività edificatoria – Decorso del tempo – Pregiudizio attuale – Indagine storica – Diritto alla riservatezza
In base all'art. 22 co. 1, lett. b), l. n. 241 del 1990, l'accesso alla documentazione amministrativa presuppone un interesse diretto, concreto e attuale. La norma specifica inoltre che il suddetto interesse deve corrispondere a una situazione giuridicamente tutelata, e collegata al documento a cui si chiede di accedere. In particolare, il requisito della concretezza impone al richiedente di indicare una specifica situazione giuridica appartenente al proprio patrimonio, come diritto o come aspettativa. In mancanza, l'accesso rimane soltanto esplorativo. Per quanto riguarda l'edilizia e l'urbanistica, la vicinitas può essere all'origine di conflitti collegati all'attività edificatoria, ma non è una condizione per sé conflittuale, che renda sempre necessario verificare quello che è avvenuto sull'altro lato del confine. Non vi è quindi un'automatica legittimazione dei vicini a conoscere la storia delle edificazioni del fondo confinante, ma occorre sempre il quid pluris rappresentato dal pregiudizio attuale, sia pure nella forma del danno temuto. Un'indagine storica sulla legittimità delle opere non è sorretta da un interesse attuale tale da poter legittimare l'accesso amministrativo. Infatti, appare evidente che l'attualità del diritto di accesso è inversamente proporzionale alla distanza temporale dalla formazione dei documenti. Anche in materia urbanistica, dove l'interesse pubblico alla rimozione degli abusi o al ripristino della conformità è particolarmente resistente al decorso del tempo, il diritto di accesso finalizzato a promuovere ricorsi giurisdizionali o a provocare interventi repressivi da parte dell'amministrazione incontra il limite della stabilità delle posizioni giuridiche dei terzi, raggiunta sul piano processuale o sostanziale. Vi è quindi un diritto alla riservatezza in capo ai confinanti, che non richiede particolari dimostrazioni, né analisi sui singoli aspetti della realizzazione e dell'utilizzazione delle opere, in quanto è semplicemente il riflesso della certezza del diritto, come risultante dalla consolidata situazione dei luoghi e dall'acquiescenza dei proprietari vicini e dei loro danti causa;
T.A.R. Lombardia, sede di Brescia, sez. II, 7 giugno 2022, n. 571

Cambio destinazione urbanistica – Fabbricati rurali – Limitazioni – Carico urbanistico – Oneri di urbanizzazione
Mentre per le residenze rurali realizzate a far data dall'entrata in vigore della l. n. 10/1977 il passaggio dall'utilizzo “rurale” (da parte dell'imprenditore agricolo a servizio della conduzione dell'azienda agricola) all'utilizzo “civile” (da parte di soggetti privi della qualifica di imprenditore agricolo e per esigenze abitative svincolate dalla conduzione del fondo) configura una modificazione della destinazione d'uso giuridicamente rilevante, giacché determina la decadenza dal beneficio dell'esenzione dal contributo di concessione di cui aveva beneficiato il titolo originario; per le residenze rurali edificate prima dell'entrata in vigore della l. n. 10/1977 il passaggio dall'uno all'altro utilizzo non configura alcuna modifica della destinazione d'uso giuridicamente rilevante, dal momento che in tal caso il titolo abilitativo autorizzava entrambi gli utilizzi, e ad entrambi concedeva il beneficio della gratuità previsto, in modo generalizzato, per il rilascio di qualsivoglia titolo edilizio”. Non altrettanto si può affermare con riferimento ai fabbricati rurali realizzati in epoca antecedente. Per questi fabbricati non sussiste alcuna limitazione quanto alle categorie di soggetti cui poteva essere rilasciato il titolo edilizio né era prevista l'assunzione di un atto di impegno al mantenimento della destinazione dell'immobile a servizio dell'attività agricola. Pertanto, questi immobili – per quanto “rurali” – potevano e possono tuttora essere liberamente adibiti ad abitazione anche da parte chi non rivesta la qualifica di imprenditore agricolo, senza che da ciò derivino conseguenze. Stando alla normativa applicabile a questi immobili, non può perciò configurarsi un mutamento di destinazione d'uso giuridicamente rilevante laddove l'immobile sia abitato da un soggetto che nulla ha a che fare con l'attività agricola. Né si può affermare che la modifica soggettiva di colui che abita l'immobile determini, di per sé sola, un maggior carico urbanistico che possa giustificare la pretesa al pagamento degli oneri di urbanizzazione: il carico urbanistico resta, invero, lo stesso, nel caso in cui l'immobile sia abitato dall'imprenditore agricolo oppure da un soggetto che non rivesta tale qualifica.
T.A.R. Piemonte, Torino, sez. II, 17 giugno 2022, n. 583

Cessione di cubatura – Nozione – Requisito della reciproca prossimità dei terreni – Valutazione in concreto
La cessione di cubatura è un istituto di fonte negoziale, la cui legittimità è stata ripetutamente avallata in sede giurisprudenziale (per tutte si veda Consiglio di Stato, Sezione V, 28 giugno 2000, n. 3636), in forza del quale è consentita, a prescindere dalla comune titolarità dei due terreni, la “cessione” della cubatura edificabile propria di un fondo in favore di altro fondo, cosicché, invariata la cubatura complessiva risultante, il fondo cessionario sarà caratterizzato da un indice di edificabilità superiore a quello originariamente goduto. Tuttavia, onde evitare la facile elusione dei vincoli posti alla realizzazione di manufatti edili in funzione della corretta gestione del territorio, il legittimo ricorso a tale meccanismo è soggetto a determinate condizioni, una delle quali è costituita dall'essere i terreni in questione, se non precisamente contermini, quanto meno dotati del requisito della reciproca prossimità, perché altrimenti, attraverso l'utilizzazione di tale strumento, astrattamente legittimo, sarebbe possibile realizzare scopi del tutto estranei ed, anzi, contrastanti con le esigenze di corretta pianificazione del territorio. Quanto alla individuazione dei criteri in base ai quali procedere alla valutazione della contiguità dei fondi, è stato anche di recente (Cons. Stato, Sez. 2, n. 544 del 2020) ricordato come la giurisprudenza amministrativa sia concorde nel ritenere che la contiguità deve essere intesa come una effettiva e significativa vicinanza (cfr. Cons St, sez. V, n. 1525/2004), che tuttavia non implica necessariamente che gli immobili siano tra loro confinanti. Ciò significa che in concreto non è possibile adottare un criterio generale ed astratto in base al quale affermare la contiguità tra fondi, ma che la vicinanza deve essere valutata caso per caso in relazione alle caratteristiche morfologiche dell'area interessata, alle sue dimensioni e tenuto conto delle esigenze urbanistiche della stessa.
Consiglio di Stato, sez. II, 27 giugno 2022, 5305