Fisco e contabilità

Province e Città, rosso da 1,14 miliardi - Incognita fondi sul via agli standard

Pioggia di risorse destinate agli investimenti del futuro ma difficile chiudere i conti oggi

di Gianni Trovati

Governo, Province e Città metropolitane hanno meno di un mese per trovare un’intesa in grado di far chiudere i bilanci preventivi di quest’anno e soprattutto di far partire l’applicazione del meccanismo di ripartizione degli spazi finanziari fondato sulla distanza tra fabbisogni standard e capacità fiscali. Quella che si è chiusa ieri è stata una settimana contraddittoria per gli enti di area vasta, sospesi fra i numeri insolitamente imponenti dei fondi per gli investimenti in strade, ponti e viadotti (con i 2,7 miliardi distribuiti dai due decreti del ministero delle Infrastrutture; NT+ Enti locali & edilizia di martedì) e lo stallo sulle cifre decisamente più ridotte (310 milioni in tre anni) per le «funzioni fondamentali». Il punto è che i soldi per gli investimenti guardano al domani, spalmati come sono fra il 2024 e il 2029, quelli della gestione ordinaria pongono un problema oggi. Il cortocircuito temporale ne ha creato uno politico. Lo stop all’intesa ha spaccato gli amministratori locali, tra l’Upi favorevole e l’Anci contraria per il «no» di alcune Città; a partire da Roma dove il sindaco Roberto Gualtieri lamenta uno squilibrio vicino agli 80 milioni, cioè una cifra pari al fondo di quest’anno per tutti gli enti. E accende un semaforo rosso sull’avvio dei fabbisogni standard che completerebbero con le Province e le Città la riforma del finanziamento degli enti locali.

Come sempre, i numeri aiutano a capire. Anzi, un numero prima degli altri: 1,14 miliardi, cioè lo squilibrio complessivo da cui partono i conti 2022 di Province e Città.

Il problema, emerso proprio grazie al lavoro di analisi su capacità fiscali e fabbisogni standard, è stato riconosciuto dal governo. Che nell’ultima manovra (comma 561) ha istituito il «fondo per il finanziamento e lo sviluppo delle funzioni fondamentali» di Province e Città. Da lì arrivano i 310 milioni in tre anni (80 milioni appunto sul 2022) al centro della contesa.

Rispetto ai tagli draconiani del passato, il fondo è un indubbio punto di svolta. Ma sale molto lento negli anni, fino ad arrivare dal 2031 al livello a regime di 600 milioni: che sono il 66,7% dei 900 milioni di sbilancio calcolati inizialmente, e il 52,5% degli 1,14 miliardi emersi poi.

Fuori dalle cifre, il punto è ovviamente politico e vede le Province immerse in una condizione anfibia. La ricca agenda di iniziative speciali per gli investimenti (oggi per esempio scade il termine per correggere e integrare i piani per i fondi sull’edilizia scolastica: 1,98 miliardi) dice che sono enti strategici per lo sviluppo territoriale e per il Pnrr; la povera condizione dei bilanci ordinari invece attualizza l’effetto dei tagli a ripetizione (5,1 miliardi cumulati al 2019 secondo l’ultimo dossier di febbraio del servizio studi della Camera) operati quando erano considerate enti inutili da sopprimere. Ma c’è di più.

Mentre il sistema dei trasferimenti statali per funzioni fondamentali e investimenti cresce la quota di finanza derivata di Province e Città, il residuo di autonomia fiscale in capo a questi enti è legato per l’88% (3,6 miliardi su 4,1 nei dati Siope 2021) alle imposte su Rc auto e trascrizione al Pra prodotte da un mercato dell’auto in crisi sempre più strutturale. Un problema per tutti, ma soprattutto per le Città dove la concentrazione di automobili per abitante è più alta. E dove quindi il gelo del settore si fa sentire di più.

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