I temi di NT+L'ufficio del personale

Accesso ai dati, assunzioni da collocamento, valutazione dei titoli e stabilizzazioni

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di Gianluca Bertagna

La rubrica settimanale con la sintesi delle novità normative e applicative sulla gestione del personale nelle Pa.

Il diritto di accesso ai propri dati non può essere negato, anche se gli atti coinvolgono terze parti

Il Garante per la protezione dei dati personali, con il provvedimento n. 137 del 7 marzo 2024, ha ribadito il diritto del dipendente di accedere al proprio fascicolo personale, anche per conoscere quali informazioni possono aver dato origine a una sanzione disciplinare nei suoi confronti. Il Garante ha osservato che, in via generale, il diritto di accesso ha lo scopo di consentire all’interessato di avere il controllo sui propri dati personali e di verificarne l’esattezza. Questo diritto, tuttavia, non può essere negato o limitato a seconda della finalità della richiesta. Infatti, in base alle disposizioni del Regolamento, non è chiesto agli interessati di indicare un motivo o una particolare esigenza per giustificare le proprie richieste di esercizio dei diritti, né il titolare del trattamento può verificare i motivi della richiesta. Tale interpretazione è stata chiarita anche dal Comitato europeo per la protezione dei dati (EDPB) mediante l’approvazione delle Linee guida sul diritto di accesso ed è frutto di un costante orientamento giurisprudenziale della Corte di Giustizia. Nel caso specifico il garante ha accolto il reclamo di una dipendente di una banca, osservando che il datore di lavoro non poteva negare l’accesso alla corrispondenza intrattenuta con una terza persona e utilizzata nell’ambito di un procedimento disciplinare. Il datore di lavoro non può rifiutare al dipendente tale documentazione per tutelare il diritto di difesa e la riservatezza dei terzi coinvolti, nonché per l’assenza di interesse all’accesso da parte del richiedente.

Concorsi: assunzioni da liste di collocamento, la complessità della prova non giustifica la revoca

Nella newsletter n. 9 del 2 maggio 2024, l’Aran ha segnalato la sentenza della Corte di cassazione, sezione lavoro, 15 marzo 2024, n. 7068, con la seguente sintesi: «La Corte sottolinea i seguenti principi: in tema di procedure di avviamento alla selezione degli iscritti alle liste di collocamento e a quelle di mobilità ex articolo 16 della legge n. 56 del 1987 e successive modificazioni, concernenti l’assunzione, da parte di una Pa, di lavoratori da inquadrare nei livelli retributivo funzionali per i quali non è richiesto titolo di studio superiore a quello della scuola dell’obbligo, sussiste un potere della stessa Pa di intervenire su tale procedura solo ove questa si sia svolta in contrasto con la normativa vigente o con quanto stabilito nel decreto che vi ha dato inizio. In particolare, la Pubblica amministrazione non può annullare o revocare gli atti della prova di esame, dopo che questa sia stata completata, sul presupposto della mera eccessiva complessità della stessa, per come predisposta dalla competente commissione, perché solo tale commissione può stabilirne il livello di difficoltà e, comunque, gli interessati che l’abbiano superata e si trovino in posizione utile hanno ormai un diritto soggettivo al completamento della procedura e all’assunzione. In tema di avviamento a selezione articolo 16 della legge n. 56 del 1987, il diritto soggettivo all’assunzione del lavoratore avviato, ancorché utilmente collocato in graduatoria, sorge all’esito del completamento del procedimento, ossia dopo la valutazione positiva della prova di idoneità, ma, per la successiva costituzione del rapporto, è necessario l’intervento della volontà delle parti, con la stipulazione del contratto e la specificazione dei relativi elementi essenziali. Peraltro, ove gli atti della procedura in questione siano stati, dopo il completamento di detta prova di esame, annullati o revocati indebitamente, l’interessato può comunque ottenere dal giudice, oltre al risarcimento dei danni subiti, l’emissione di pronuncia costitutiva del rapporto di lavoro con la Pa articolo 2932 del codice civile, qualora tali elementi essenziali, come la qualifica, le mansioni e il trattamento economico e normativo del menzionato lavoratore, siano indicati dalla legge o dalla contrattazione collettiva».

Concorsi: valutazione dei titoli, la documentazione va esaminata unitariamente

I titoli di servizio valutabili nell’ambito delle procedure concorsuali devono essere presi in considerazione anche quando siano sinteticamente indicati nella domanda di partecipazione e più analiticamente nella dichiarazione sostitutiva allegata alla stessa (quando il bando prescriva due documenti separati), in quanto riconducibili alle previsioni dell’amministrazione. Infatti, i due suddetti documenti debbono essere valutati unitariamente. Un caso del genere è stato esaminato dal Tar Lazio-Latina, sezione I, nella sentenza 6 maggio 2024, n. 325, di accoglimento del ricorso di una candidata. Nella pronuncia è emerso anche che la ricorrente aveva svolto attività di addetto stampa per conto di due enti, con rapporto di lavoro instaurato ai sensi dell’articolo 90 del Tuel. A tale proposito il Collegio ha rilevato che (riguardo alle osservazioni del contro interessato) il predetto articolo 90 (assunzioni negli uffici di staff degli organi politici) non individua il contenuto della prestazione lavorativa - per la quale occorre, dunque, fare riferimento alle declaratorie del Ccnl applicabile al rapporto di lavoro - e nemmeno le procedure assunzionali, ma solo la possibilità di costituire, presso gli enti locali, degli uffici di staff, specificamente dedicati allo svolgimento delle attività indicate, tra le quali deve, peraltro, ritenersi compresa quella di addetto stampa.

Stabilizzazione del personale, nei concorsi mono posto niente quote riservate

Il Tar della Valle d’Aosta, sezione unica, nella sentenza 8 maggio 2024, n. 22, ha ribadito che la possibilità di “stabilizzare” il personale a tempo determinato, ai sensi dell’articolo 28, comma 1-bis, del Dl 75/2023, convertito in legge 112/2023 (che recita: «I Comuni possono prevedere, nel limite dei posti disponibili della vigente dotazione organica e in coerenza con il piano triennale dei fabbisogni, di cui all’articolo 6 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nell’ambito dei concorsi pubblici per il reclutamento di personale dirigenziale, una riserva di posti non superiore al 50 per cento da destinare al personale, dirigenziale e non dirigenziale, che abbia maturato con pieno merito almeno trentasei mesi di servizio, anche non continuativi, negli ultimi cinque anni e che sia stato assunto a tempo determinato previo esperimento di procedure selettive e comparative a evidenza pubblica, o al personale non dirigenziale che sia in servizio a tempo indeterminato per lo stesso periodo di tempo. Le assunzioni di personale di cui al presente comma sono effettuate a valere sulle facoltà assunzionali di ciascuna amministrazione disponibili a legislazione vigente»):
- non prevede alcuna deroga al reclutamento tramite concorso, bensì soltanto la possibilità di riservare una quota, non eccedente la metà, dei posti a concorso in favore del personale interno in possesso dei requisiti prescritti;
- in senso contrario non depone il parere del Ministero della Pubblica Amministrazione protocollo 63059 del 23 ottobre 2023; il quale, infatti, nel ribadire che la riserva opera “nell’ambito dei meccanismi concorsuali”, ha precisato soltanto che detta facoltà può essere esercitata tramite “procedure concorsuali diverse” purché “bandite contestualmente”;
- quando c’è un unico posto messo a concorso, non può esserci alcuna riserva a beneficio del personale interno; tale conclusione è imposta dal tenore letterale della norma, che circoscrive la quota di riserva in misura “non superiore al 50 per cento”.