I temi di NT+L'ufficio del personale

Concorsi, progressioni verticali, procedimento disciplinare e incompatibilità tra incarichi

immagine non disponibile

di Gianluca Bertagna

La rubrica settimanale con la sintesi delle novità normative e applicative sulla gestione del personale nelle Pa.

Annullamento della procedura concorsuale ed effetti sul contratto di lavoro

La Corte di Cassazione, sezione lavoro, nell’ordinanza 26 novembre 2024, n. 30478 ha ritenuto che l’annullamento di un concorso pubblico in autotutela, ai sensi dell’articolo 21-novies della legge 241/1990, per vizi di legittimità riscontrati dalla pubblica amministrazione rispetto agli atti del concorso/selezione, determina la nullità originaria, rilevabile d’ufficio, sebbene accertata successivamente, del contratto di lavoro stipulato in esito alla conclusione della procedura stessa.
Nel giudizio instaurato dal lavoratore per la tutela del diritto soggettivo alla prosecuzione del rapporto conseguente a tale contratto il giudice ordinario ha il potere di disapplicare il provvedimento di annullamento solo se, ed in quanto, si ravvisino rispetto ad esso i vizi di legittimità propri degli atti amministrativi. Nel caso oggetto di contenzioso veniva in rilievo l’assenza dei requisiti previsti per la partecipazione alla procedura concorsuale; circostanza che dà luogo ad un vizio genetico del contratto e che è riconducibile alla nullità testuale prevista dall’articolo 36 del Dlgs 165/2001, considerato il tenore letterale della disposizione e anche la genesi della norma.

 

Progressioni verticali e valutazione dei titoli

In una procedura di progressione verticale (fra le aree), articolo 52, comma 1-bis, del Dlgs 165/2001, l’amministrazione non può valutare dei titoli diversi da quelli indicati dal candidato interno nella domanda di partecipazione. È quanto affermato dal Tar Campania-Salerno, sezione III, nella sentenza del 2 dicembre 2024, n. 2347.
Il Tar campano ha chiarito che, una volta riscontrato che i titoli dichiarati sono inesistenti l’ente non può valorizzare altri titoli posseduti dall’interessato, invocando l’applicabilità dell’articolo 18, comma 3, della legge 241/1990, a mente del quale «… sono accertati d’ufficio dal responsabile del procedimento i fatti, gli stati e le qualità che la stessa amministrazione procedente o altra pubblica amministrazione è tenuta a certificare» ovvero facendo perno sulla circostanza che, trattandosi di dipendente interno al proprio organico, per lo stesso è agevole avvedersi dell’errore compiuto in sede redazionale e rinvenire autonomamente i titoli posseduti dall’interessato, soccorrendolo con soccorso istruttorio.
In altre parole, dopo la scadenza del termine ultimo per la domanda, l’amministrazione non può consentire di depositare titoli diversi da quelli indicati in sede di domanda, essendo possibile solo integrare o regolarizzare omissioni o imperfezioni sanabili rispetto a quanto già depositato e dichiarato in domanda, non anche a modificare – con elementi essenziali di valutazione – i dati ed i titoli ivi indicati.
Si richiama, quindi, l’assunto secondo cui l’indicazione dei titoli in un concorso pubblico è un elemento della domanda di partecipazione, la cui carenza non è in alcun modo sanabile da un’indicazione successiva alla scadenza del termine di presentazione, dovendosi individuare il limite all’attivazione del soccorso istruttorio con la mancata allegazione di un requisito di partecipazione ovvero di un titolo valutabile in sede concorsuale.

Procedimento disciplinare al dipendente cessato dal servizio

Il datore di lavoro pubblico può iniziare un procedimento disciplinare anche quando le dimissioni siano intervenute in epoca antecedente all’avvio del procedimento, sussistendo l’interesse dell’amministrazione ad accertare le responsabilità disciplinari al fine di impedire che il dipendente possa essere riammesso in servizio, partecipare a successivi concorsi pubblici o far valere il rapporto di impiego come titolo per il conferimento di incarichi da parte della pubblica amministrazione.
Nel pubblico impiego, infatti, perdura l’interesse all’accertamento della responsabilità disciplinare per finalità che trascendono il rapporto già cessato, ma che rispondono comunque ai principi di legalità, di buon andamento e di imparzialità che, per volontà del legislatore costituzionale, devono sempre caratterizzare l’azione della pubblica amministrazione.
È quanto affermato dalla Corte di cassazione, sezione lavoro, nella sentenza 27 novembre 2024, n. 30535, in riferimento all’interpretazione dell’articolo 55-bis, comma 9, del Dlgs 165/2001 in merito al caso di inizio o prosecuzione dell’azione disciplinare nei confronti del dipendente cessato dal servizio (per dimissioni).

Ulteriori incarichi/compiti assegnati al comandante della polizia locale

In merito alla sussistenza di un’ipotesi di conflitto di interessi/incompatibilità di incarichi conferiti al comandante della polizia locale che, oltre a svolgere le funzioni inerenti il proprio settore, svolge anche le attività gestionali relative al servizio di politiche sociali, l’Anac, con il parere del 3 dicembre 2024, reperibile al seguente link, ha fornito, a supporto delle determinazioni rimesse all’amministrazione, le indicazioni già date in tema di conflitto di interessi, anche potenziale, con delibere di carattere generale ed atti specifici nonché il quadro normativo e giurisprudenziale concernente il conferimento di incarichi dirigenziali al corpo di polizia locale.
In particolare, l’Autorità si è già espressa in merito alla fattispecie di conflitto di interessi in capo al comandante della polizia locale, affermando che «sussiste un’ipotesi di conflitto di interesse, anche potenziale, nel caso in cui al comandante/responsabile della polizia locale, indipendentemente dalla configurazione organizzativa della medesima, sia affidata la responsabilità di uffici con competenze gestionali, in relazione alle quali compie anche attività di vigilanza e controllo».