Corte dei conti, obbligo di prova puntuale per il danno alla concorrenza
É necessario che la violazione abbia comportato un effettivo danno patrimoniale all'ente pubblico
La sezione giurisdizionale centrale d'appello della Corte dei conti, con la sentenza n. 118/2021, conferma e ribadisce il principio secondo il quale il danno alla concorrenza non può ritenersi sussistente «in re ipsa» e va provato.
Il danno erariale alla concorrenza si configura, in estrema sintesi, in una lesione del patrimonio pubblico conseguente all'ingiustificato maggiore esborso o, comunque, al mancato risparmio derivante dall'omesso ricorso alle regole dell'evidenza pubblica che, come quota percentuale di mancato ribasso, viene ingiustamente perduta, in misura percentuale, su ogni singolo maggiore pagamento che viene effettuato,
Dunque, il danno erariale alla concorrenza non può ritenersi sussistente «in re ipsa», dovendosi provare che la deviazione dai parametri di una corretta azione amministrativa abbia comportato un effettivo danno patrimoniale all'ente pubblico, «provato attraverso la quantificazione della somma che l'Amministrazione avrebbe potuto risparmiare ove fosse stata regolarmente espletata la prevista procedura di gara» (Appello Sicilia n. 147 del 2018).
I magistrati d'appello ricordano che il danno alla concorrenza che, sicuramente scaturisce dall'omesso ricorso alle regole dell'evidenza pubblica, come la giurisprudenza ha più volte ribadito, deve essere, comunque, dimostrato. Nel senso che è necessario provare che la violazione di legge abbia determinato una maggiore spendita di denaro pubblico, e ciò può essere fatto con ogni idoneo mezzo, ma pur sempre di comparazione con i prezzi o con i ribassi conseguiti ad esito di gara per lavori o servizi dello stesso genere di quello in contestazione.
Il collegio giudicante, divergendo dalla posizione assunta in precedenti pronunce (Sezione I centrale appello n. 175/2019), non ha ritenuto sufficiente, al fine di costituire parametro idoneo a dimostrare la sussistenza del danno lamentato, il ricorso alla tabella della relazione dell'Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici (Avcp) 2012, ritenendo che i criteri ivi posti come base di riferimento pecchino di genericità, limitazione temporale e ampiezza di riferimenti geografici.
In conclusione, si deve ritenere che non può sussistere la configurazione di un danno alla concorrenza derivante da mera violazione della normativa sull'evidenza pubblica, ma è necessario che la stessa abbia comportato un effettivo danno patrimoniale all'ente pubblico e che dello stesso sia stata fornita esaustiva dimostrazione espletata attraverso «un'attendibile indagine esplorativa centrata su un adeguatamente circoscritto ambito territoriale, su una aderente contestualità temporale e su una quanto meno tendenziale analogia tipologica con le attività di cui si discute».
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di Alessandro Merciari (*) - Rubrica a cura di Anutel