Costi della manodopera nel nuovo codice appalti: il rebus dello scorporo
Tra i vari dubbi interpretativi conseguenti all’entrata in vigore del nuovo codice dei contratti, il rebus dello scorporo dei costi della manodopera dall’importo assoggettato a ribasso, rappresenta probabilmente per le Stazioni appaltanti, quello con maggiori ricadute in termini operativi.
Tali costi sono ribassabili, oppure sono da considerarsi fissi e invariabili?
In caso di risposta affermativa, sono da assoggettare a ribasso diretto o indiretto?
Queste, le ambiguità correlate alla normativa vigente.
Nel tentativo di far luce nel tunnel del primo amletico dubbio, la prima considerazione non può che prendere le mosse dall’articolo 41, comma 14, che testualmente recita: «l’ente concedente individua nei documenti di gara i costi della manodopera secondo quanto previsto dal comma 13. I costi della manodopera e della sicurezza sono scorporati dall’importo assoggettato al ribasso. Resta ferma la possibilità per l’operatore economico di dimostrare che il ribasso complessivo dell’importo deriva da una più efficiente organizzazione aziendale».
Sicuramente un tenore contraddittorio quello della disposizione in esame.
La prima difficoltà interpretativa infatti, nasce dal fatto che mentre da un lato la stessa statuisce l’obbligo dello scorporo, nel capoverso immediatamente successivo, fa salva la possibilità che in considerazione di una più efficiente organizzazione aziendale, il concorrente possa giustificare il ribasso complessivo offerto sull’intero importo.
Come a voler dire che tali costi in quanto scorporabili dal ribasso offerto sono da considerarsi fissi e invariabili, ma nel contempo oggetto di ribasso complessivo, giusto per dar manforte alla certezza del diritto nel Bel paese.
Se poi si aggiunge che l’art. 41 è da leggersi in combinato disposto, con l’articolo 108, comma 9, che prescrive al concorrente di indicare nell’offerta economica, a pena di esclusione, i costi della manodopera (oltre agli oneri di sicurezza aziendali), il risultato è devastante.
I costi della manodopera sembrerebbero essere assoggettabili a ribasso e con modalità indiretta.
Se infatti fossero da considerare fissi e invariabili, non avrebbe alcun senso richiedere ai concorrenti di indicarne la misura nell’offerta economica.
Due sembrano le teorie delineatesi in questo lasso di tempo, una fondata sull’assunto letterale della norma, l’altra su quello sistemico.
La prima, anelastica nell’essenza, si ferma al significato esplicito della norma: I costi della manodopera sono fissi e invariabili, non potendo essere modificati alla luce del ribasso offerto dal concorrente.
L’altra flessibile per natura, ritiene al contrario che siano come sopra già anticipato, ribassabili con modalità indiretta.
In effetti la prima teoria sembrerebbe non tener in debita considerazione una serie di fattori, su tutti, la limitazione della libertà imprenditoriale (i concorrenti potrebbero dimostrare ad esempio che il ribasso potrebbe essere correlato a soluzioni innovative e più efficienti) e quella della concorrenza (si pensi agli appalti con alta intensità di manodopera).
La valutazione finale non può prescindere dalla volontà del legislatore.
Da una parte, quella di voler predisporre una tutela rafforzata per i lavoratori, impedendo che i concorrenti in sede di formulazione della loro offerta possano risparmiare sui costi della manodopera scendendo al di sotto della soglia fissata per lo specifico appalto dalla stazione appaltante, dall’altra, la volontà di bilanciare questa necessità, con un’altra esigenza, ritenuta anch’essa meritevole di tutela, ovvero quella legata al riconoscimento della libertà d’impresa.
Il tutto protende ad una affermazione della teoria sistemica, con crismi però di “mediazione” rispetto alle due forze in gioco.
Anche il tenore di una pronuncia del Consiglio di Stato n. 5665/2023 (resa in vigenza del Dlgs 50/2016) che sostiene esplicitamente l’illegittimità dei bandi che prevedono la non assoggettabilità dei costi della manodopera e il parere MIT n. 2154/2023 fungono da “passepartout” per la prospettata soluzione.
In sostanza, il ribasso complessivo potrà essere anche composto di una quota parte relativa ai costi della manodopera rispetto alla quantificazione operata dalla stazione appaltante e solo qualora questi risultino inferiori a quelli dalla stessa stimati, comporteranno l’assoggettamento dell’offerta a verifica di anomalia.
In quella sede il concorrente potrà fornire le proprie giustificazioni facendo riferimento appunto a una più efficiente organizzazione aziendale. Resta fermo che tali giustificazioni non potranno mai basarsi sulla deroga ai trattamenti salariali minimi (ex art. 110).
È il caso di dire quindi, considerata la disamina, che lo scorporo della manodopera rimane uno slogan privo di qualsivoglia utilità.
(*) Docente Anutel
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