Decreto attuativo della delega fiscale: impatto limitato sulla Tari
Lo schema di decreto attuativo della legge delega fiscale (legge 111/2023) riguardante i tributi locali si occupa anche della tassa sui rifiuti, senza però apportare stravolgenti novità, perdendo in tal modo l’occasione di dare una soluzione ad alcune delle questioni interpretative più controverse del tributo.
La norma, contenuta nell’articolo 28 dello schema di decreto, dopo aver operato una serie di aggiustamenti terminologici in alcuni commi della legge 147/2013, eliminando il riferimento ai rifiuti assimilati, abrogato dal Dlgs 116/2020, ha aggiunto un nuovo comma dopo il comma 649 dell’articolo 1 della legge 147/2013 (comma che si occupa dell’esclusione delle superfici in cui si producono rifiuti speciali in via continuativa e prevalente, della detassazione dei magazzini di materie prime e merci funzionalmente ed esclusivamente collegati al reparto produttivo di rifiuti speciali, delle riduzioni regolamentari - sulla quota variabile - nel caso di avvio al riciclo al di fuori del servizio pubblico da parte delle utenze non domestiche dei rifiuti urbani prodotti). Il nuovo comma 649-bis ha ripreso la disposizione contenuta nell’articolo 238 del Dlgs 152/2006, come modificata dall’articolo 27 della legge 193/2024, in base alla quale le utenze non domestiche che producono e conferiscono in tutto o in parte rifiuti urbani (come definiti dall’articolo 183, comma 1, lettera b-ter, del Dlgs 152/2006), al di fuori del servizio pubblico e dimostrano di averli avviati al riciclo o al recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto che effettua l’attività di riciclo o recupero stesso, sono escluse dalla corresponsione della componente tariffaria rapportata alla quantità de rifiuti conferiti. Il decreto non ha chiarito la portata di questa norma e soprattutto il suo rapporto con le riduzioni che, a mente del sopra citato comma 649 dell’articolo 1 della legge 147/2013, i Comuni devono introdurre in favore delle utenze che avviano al riciclo in forma autonoma dei propri rifiuti urbani. La norma dell’articolo 238 del Dlgs 152/2006, infatti, mentre prima della modifica apportata dalla legge 193/2024 prevedeva l’esclusione dalla quota variabile del prelievo per le utenze non domestiche che uscivano dal servizio pubblico, purchè avviassero al recupero tutti i rifiuti urbani prodotti conferendoli a operatori abilitati, con la modifica apportata nel 2024 sembra consentire l’accesso a predetta esclusione anche alle utenze non domestiche che recuperano/riciclano in modo autonomo anche solo una parte dei rifiuti urbani prodotti. L’esclusione integrale dalla quota variabile per quest’ultime appare però del tutto ingiustificata, in quanto si tratta di utenze che comunque utilizzano il servizio pubblico. La norma ha imposto poi alle utenze che hanno effettuato la scelta di cui sopra (uscita totale o anche parziale dal servizio pubblico) di comunicare la stessa al Comune o al gestore del servizio (e qui si precisa in caso di tariffa corrispettiva che, come è noto, è gestita a mente del comma 668 dell’articolo 1 della legge 147/2013 dal gestore del servizio) entro il 30 giugno di ogni anno per l’anno successivo. Riprendendo la previsione dell’articolo 30, comma 5, del Dl 41/2021 (che è stato contestualmente abrogato). Si continua altresì a precisare, come oggi già evidenziato dal comma 10 dell’articolo 238 del Dlgs 152/2006, che la scelta di servirsi del gestore del servizio pubblico o del ricorso al mercato è vincolate per 2 anni.
Inoltre, come detto, non viene chiarito il rapporto di suddetta riduzione tariffaria con la norma del comma 649 dell’articolo 1 della legge 147/2013 che ha imposto ai Comuni di prevedere, nei propri regolamenti, delle riduzioni della quota variabile proporzionali alla quantità di rifiuti urbani che le utenze domestiche avviano al riciclo avvalendosi di operatori abilitati. Coordinamento che, a questo punto, diventa imprescindibile effettuare nel regolamento comunale (se non già fatto).
Va sottolineata inoltre la modifica apportata al comma 654 della legge 147/2013 il quale specifica l’obbligo della copertura integrale dei costi del servizio rifiuti con i proventi della tassa, compresi i costi delle discariche. Lo schema di decreto stabilisce che nella determinazione della tariffa è prevista anche la copertura di costi accessori relativi alla gestione dei rifiuti urbani, quali ad esempio, le spese di spazzamento stradale. Sul punto si riprende quanto stabilito già dal 2019 dall’Arera che, nella deliberazione n. 443/2019 (Mtr) aveva incluso (come peraltro il Dpr 158/1999) i costi dello spazzamento e lavaggio delle strade tra i costi fissi da finanziare con il tributo. La norma probabilmente intende dare copertura normativa all’inserimento dell’ambito dei costi finanziati dal tributo (o dalla tariffa) di quelli di attività gestionali esterne, comunque accessorie al servizio rifiuti e affidate al medesimo gestore, specificando, come già richiesto dall’Arera, che ciò sia evidenziato nei piani finanziari e nei bilanci dei soggetti affidatari del servizio (l’Arera richiede anche che ne sia data evidenza negli avvisi di pagamento del tributo).
Non vi è invece più traccia, nello schema del decreto, della norma che avrebbe dovuto disciplinare il pagamento della quota fissa del prelievo sulle superfici in cui si producono rifiuti speciali, al fine di dare seguito, e in qualche modo anche limitarne la portata, all’orientamento della Cassazione che ha previsto l’obbligo di pagamento della quota fissa anche su predette superfici (Cassazione, ordinanza n. 23228/2024, tra le varie).
Il decreto inoltre ha provveduto a inserire all’interno della legge 147/2013 la riduzione tariffaria prevista attualmente dall’articolo 208, comma 19-bis, del Dlgs 152/2006, in favore delle utenze non domestiche che effettuano il compostaggio aerobico individuale dei rifiuti costituiti da sostanza naturali non pericolose prodotte nell’ambito delle attività agricole e vivaistiche e alle utenze domestiche che effettuano compostaggio aerobico individuale per i propri rifiuti urbani da cucina, sfalci e potature da giardino.
Importante è l’allineamento della scadenza della dichiarazione Tari con quella prevista dalla deliberazione Arera 15/2022 (TQRIF). Lo schema di decreto ha modificato, infatti, il comma 684 dell’articolo 1 della legge 147/2013, stabilendo che la dichiarazione Tari deve essere presentata entro novanta giorni dalla data di inizio del possesso o della detenzione dei locali e delle aree assoggettabili al tributo, in luogo del previgente termine del 30 giugno dell’anno successivo (pur se con la confusione dei termini contenuti nei commi 684-685 dell’articolo 1 della legge 147/2013). Modifica che, se ha il pregio di fare chiarezza sui termini dichiarativi, deve essere valutata con attenzione sotto due aspetti. Il primo riguarda il termine per la notifica degli avvisi di accertamento in caso di omissione della dichiarazione (o anche di infedeltà), di cui all’articolo 1, comma 161, della legge 296/2006, che potrebbe decorrere non più dall’anno successivo a quello di riferimento dell’inizio del possesso o della detenzione (o della modifica degli elementi incidenti sulla determinazione del tributo) ma anche dallo stesso anno (quindi con un anno in meno a disposizione per gli enti impositori). Il secondo riguarda l’applicazione delle sanzioni per omessa presentazione della dichiarazione che scatteranno trascorso il nuovo termine di novanta giorni, senza più necessità di attendere il 30 giugno dell’anno successivo. Analogamente per il ravvedimento, che scadrà trascorsi novanta giorni dopo il nuovo termine dichiarativo (e non più il 28 settembre dell’anno successivo a quello di riferimento). In proposito va rammentato che il Dlgs 87/2024 ha chiarito che la riduzione della sanzione è in ogni caso esclusa nel caso di presentazione della dichiarazione con un ritardo superiore a 90 giorni.
(*) Vice presidente Anutel
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