Personale

Dipendenti, la mobilità volontaria cancella l’assegno ad personam

La Funzione pubblica fissa le regole nei trasferimenti in enti di un altro comparto

di Gianluca Bertagna e Salvatore Cicala

Al dipendente pubblico che con la mobilità volontaria transita nei ruoli di un’altra Pa, appartenente ad altro comparto di contrattazione, deve essere riconosciuto solo il trattamento giuridico ed economico, compreso quello accessorio, previsto nei contratti collettivi del comparto dell'amministrazione di destinazione.

La clausola di salvaguardia contemplata nell'articolo 30, comma 2-quinquies, del Dlgs 165/2001, che prevede il riconoscimento di un «assegno ad personam riassorbile» in presenza di differenze retributive in sede di trasferimento, trova applicazione solo nell’ipotesi di mobilità non volontaria. Sono queste le precisazioni fornite dalla Funzione pubblica nel parere 27149/2021.

Sul trattamento economico spettante in caso di mobilità volontaria, l'articolo 30, comma 2-quinquies, del Dlgs 165/2001 ha previsto che a seguito dell'iscrizione nel ruolo dell'amministrazione di destinazione, al dipendente trasferito per mobilità si applica solo il trattamento giuridico ed economico, compreso l’accessorio, previsto nei contratti collettivi del comparto di destinazione, salvo il caso in cui non intervenga una diversa previsione.

Ma qual è la reale porta della clausola di salvaguardia («salvo diversa previsione»)? È corretto riconoscere al dipendente, proveniente da un’amministrazione di altro comparto che transiti per mobilità volontaria nei ruoli dell'ente un assegno ad personam riassorbile per ristorarlo della differenza del trattamento economico (fisso e ricorrente) che percepiva nell’ente di provenienza?

Per i tecnici di Palazzo Vidoni la soluzione va ricercata in un’attenta lettura dell’articolo 30, comma 2-quinquies, del Dlgs 165/2001. Il meccanismo di garanzia, tramite l’assegno ad personam in favore del lavoratore, trova applicazione nelle sole ipotesi di mobilità diversa da quella volontaria.

In questa ipotesi il trasferimento si fonda su una decisione unilaterale del datore di lavoro pubblico, priva dunque del consenso del dipendente (come avvenne nel 2015 con i dipendenti degli enti di area vasta in soprannumero). Da qui la volontà del legislatore di tutela la parte debole del rapporto (il lavoratore) che si vedrebbe, con il trasferimento imposto, diminuito il trattamento economico.

Questo meccanismo è stato illustrato dalla stessa Funzione pubblica, con nota protocollo n. 47532/2015, a seguito dei rilievi mossi dalla Corte dei Conti in occasione del Dpcm sulle tabelle di equiparazione.

In conclusione, si afferma nel parere, nei processi di mobilità volontaria le Pa non devono garantire al dipendente, proveniente da altro comparto di contrattazione, lo stesso trattamento retributivo che percepiva nell’ente di provenienza (ancorché se a titolo di assegno ad personam riassorbile), ma devono riconoscere gli emolumenti del trattamento economico fondamentale e accessorio del proprio comparto.

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