I temi di NT+L'ufficio del personale

Falsa attestazione in servizio, concorsi e incarico dirigenziale

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di Gianluca Bertagna

La rubrica settimanale con la sintesi delle novità normative e applicative sulla gestione del personale nelle Pa.

Incompatibilità del componente della Rsu a far parte delle commissioni di concorso

Il Tar Puglia-Lecce, sezione II, nella sentenza 6 febbraio 2024 n. 181 ha ricordato che l’incompatibilità a far parte delle commissioni di concorso da parte dei rappresentanti sindacali deve essere valutata in senso sostanziale e non formalistico; pertanto, il componente che sia membro della Rsu dell’ente non può far parte del collegio giudicante solo quando sussistono elementi concreti, univoci e concordanti idonei a dimostrare la sua influenza in favore di alcuni candidati della procedura. Risulta, di conseguenza, illegittimo l’annullamento in autotutela del procedimento, adottato dall’amministrazione, che sia determinato dalla mera qualità soggettiva rivestita dal commissario, senza quindi operare alcun vaglio o verifica in concreto circa l’eventuale incidenza di tale status rispetto agli esiti della selezione, come invece preteso dall’orientamento pretorio prevalente.

Falsa attestazione della presenza in servizio

La falsa attestazione del pubblico dipendente circa la propria presenza in ufficio, riportata sui cartellini marcatempo o nei fogli di presenza, è condotta fraudolenta, idonea oggettivamente a indurre in errore l’amministrazione di appartenenza circa la presenza sul luogo di lavoro ed integra il reato di truffa aggravata ove il pubblico dipendente si allontani senza far risultare, mediante timbratura del cartellino o della scheda magnetica, i periodi di assenza, sempre che siano da considerare economicamente apprezzabili. Sono le conclusioni della Corte di cassazione penale, sezione II contenute nella sentenza 17 gennaio 2024 n. 1999 la quale ha altresì precisato che sono utilizzabili a fini probatori nel processo penale, le rilevazioni degli orari di ingresso e uscita dei lavoratori, anche ove gli apparecchi di rilevazione siano stati installati in violazione delle garanzie procedurali previste dall’articolo 4, comma 2, dello Statuto dei Lavoratori, in quanto tali garanzie riguardano soltanto i rapporti di diritto privato tra datore di lavoro e lavoratori, ma non possono avere rilievo nell’attività di accertamento e repressione di fatti costituenti reato.

Anni di anzianità pregressa per partecipare a concorsi da dirigente-avvocato

Il Tar Puglia-Lecce, sezione II, con la sentenza 19 febbraio 2024 n. 252 ha affermato che quando per il reclutamento di dirigenti avvocati l’amministrazione richieda un’esperienza professionale pregressa pluriennale è corretto ritenere che essa sia integrata solo da: possesso del titolo di avvocato, iscrizione all’albo e anzianità dei richiesti anni effettivi corrispondente alla medesima professionalità. Di conseguenza, non hanno rilievo, per la maturazione del requisito, periodi di collaborazione svolti presso studi legali senza l’iscrizione all’albo. Se è vero che l’attività forense ricomprende anche attività di consulenza per cui non è necessaria l’iscrizione è, altresì, vero che la stessa ricomprende anche una serie di attività connesse allo ius postulandi per le quali è per legge necessaria l’iscrizione all’albo.

Prosecuzione di fatto dell’incarico dirigenziale e rinnovo dello stesso
«Quando una legge collega la cessazione del rapporto di lavoro ad un determinato evento, prevedendo, inoltre, che tale conseguenza possa essere impedita solo dalla riconferma nell’incarico, la mera prosecuzione di fatto nell’incarico non è idonea a creare incolpevoli affidamenti (Cass. n. 13232/2009, che ha espresso il principio interpretando l’art. 15, comma 6, della legge della Regione Lazio n. 18 del 1994). A maggior ragione, pertanto, non può produrre l’effetto preteso dal ricorrente una proroga temporanea (non tacita e di fatto, ma) accompagnata da una esplicita dichiarazione di volontà del datore di lavoro contraria alla rinnovazione dell’incarico». È quanto segnalato dall’Aran nella newsletter 3 del 9 febbraio 2024 con riferimento all’ordinanza della Corte di cassazione, sezione lavoro, 10 gennaio 2024 n. 1062.