I temi di NT+Tributi e bilanci a cura di Anutel

I rifiuti delle attività agricole e connesse restano speciali

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di Stefano Baldoni (*) - Rubrica a cura di Anutel

Tanto tuonò che non piovve. Questo è quanto è accaduto con le annunciate modifiche alla riforma della classificazione dei rifiuti introdotta dal Dlgs 116/2020, riferite in particolare alla classificazione di quelli prodotti dalle attività agricole e connesse e da quelle industriali.

Il Dlgs 116/2020 ha riscritto la definizione di rifiuto urbano, in applicazione della direttiva Ue 2018/851, che modifica la direttiva 200/98/Ce relativa ai rifiuti, e della direttiva 2018/852, che modifica la direttiva 1994/62/Ce sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio. In particolare, il nuovo articolo 183 del Dlgs 152/2006 prevede, ormai dal 2021, che non sono considerati più rifiuti urbani i rifiuti della produzione e dell'agricoltura e che sono invece tali quelli prodotti dalle utenze non domestiche, indicate nell'allegato L-quinquies al decreto, simili, per natura e composizione, ai rifiuti domestici riportati nell'allegato L-quater al decreto. Allegato L-quinquies che non include gli stabilimenti industriali con capannone di produzione e le attività agricole e connesse, di cui all'articolo 2135 codice civile. Tali rifiuti sono pertanto sempre speciali, a mente anche di quanto previsto dal nuovo articolo 184 del Dlgs 152/2006, senza alcuna possibilità per i comuni di assimilarli a quelli urbani, come avveniva fino al 2020. Ciò in considerazione del fatto che il potere di assimilazione comunale dei rifiuti speciali a quelli urbani è stato espressamente soppresso.

Quanto sopra deriva, come detto, dall'attuazione delle citate direttive comunitarie. In particolare, la direttiva Ue 2018/851 specifica che i rifiuti della produzione, dell'agricoltura, della silvicoltura, della pesca, della costruzione e demolizione, delle fosse settiche, delle reti fognarie e degli impianti di trattamento e dei veicoli fuori uso sono esclusi dall'ambito di applicazione della nozione di rifiuti urbani.

Tuttavia, il recepimento nazionale delle direttive sopra citate ha creato una serie di difficoltà applicative che il ministero della transizione ecologica (Mite) aveva cercato di dipanare con la nota del 12/4/2021. In particolare, si era chiarito che, con riferimento alle attività industriali, l'esclusione dai rifiuti urbani riguardava solo quelli prodotti all'interno degli stabilimenti e nei magazzini, rimanendo urbani invece quelli generati all'interno di uffici, spacci, mense eccetera. Per le attività agricole e quelle connesse (tra cui rientrano ad esempio anche le attività agrituristiche e quelle di commercializzazione e valorizzazione dei prodotti agricoli), la norma definisce speciali tutti i rifiuti prodotti, con la conseguenza che le superfici a esse destinate devono essere escluse totalmente dalla Tari e che allo stesso tempo i produttori devono organizzarsi per gestire i propri rifiuti al di fuori del servizio pubblico. Situazione questa che ha creato più di qualche problema, in quanto spesso gli stessi imprenditori agricoli avrebbero preferito continuare ad essere serviti dal servizio pubblico, invece che dover attuare i complessi adempimenti legati alla gestione autonoma dei rifiuti, rifiuti sono spesso del tutto identici a quelli urbani. Per questo il Mite, nella nota sopra citata, aveva ritenuto possibile che le attività agricole concordassero, a titolo volontario, modalità di adesione al servizio pubblico. Anche se non è chiaro se ciò debba avvenire nell'ambito del rapporto di pubblico servizio ovvero mediante uno specifico accordo di natura privatistica.

Per fronteggiare tali complessità, la prima bozza del decreto correttivo del Dlgs 116/2020, aveva espressamente previsto il ritorno dei rifiuti dell'agriturismo e degli spacci aziendali agricoli tra i rifiuti urbani e precisato che i rifiuti prodotti in depositi, uffici, mense, servizi e magazzini delle attività industriali sono rifiuti urbani.

Tuttavia su tale modifica non hanno concordato le competenti Commissioni parlamentari che, in sede di parere obbligatorio al decreto, hanno espressamente richiesto la necessità di sopprimere le innovazioni introdotte dallo schema di decreto, con riguardo all'esclusione di talune categorie di rifiuti dalla classificazione dei rifiuti speciali, anche tenuto conto dell'impatto di tali modifiche sul settore delle imprese e dell'opportunità di preservare la facoltà per le utenze non domestiche di conferire tutti o parte dei propri rifiuti urbani al di fuori del servizio pubblico (parere del 14/12/2022).

Anche se, per la verità, l'innovazione normativa non avrebbe inciso sulla possibilità per suddette utenze non domestiche di uscire dal servizio pubblico, comunque garantita dalle norme del codice ambientale.

Pertanto, in sede di approvazione definitiva del decreto correttivo (Dlgs 213/2022) il 21 dicembre 2022, peraltro pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale solo il 1° giugno scorso, le modifiche sopra commentate sono state espunte, confermando le norme del Dlgs 116/2020.

Si è persa l'occasione per risolvere una rilevante problematica che ha messo in difficoltà comuni e operatori. Specie nel caso delle attività connesse a quelle agricole i cui rifiuti prodotti, a stretto rigore normativo, restano speciali, con conseguente obbligo (e non mera facoltà) di uscita dal servizio pubblico ed esonero dalla Tari.

(*) Vice presidente Anutel

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