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Il canone unico è veramente unico e veramente patrimoniale?

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di Luciano Fazzi (*) e Alessio Foligno (**) - Rubrica a cura di Ancrel

L'articolo 1, ai commi da 816 a 847, della legge 160/2019 «Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2020 e Bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022» ha istituito, con decorrenza dal 1° gennaio 2021, il «canone unico» di concessione o autorizzazione per l'occupazione di spazi e aree pubbliche e per l'esposizione pubblicitaria di competenza di Comuni, Province, Città metropolitane. Detto canone, secondo quanto previsto dall'articolo 1 comma 816, avrebbe natura patrimoniale e dovrebbe sostituire la tassa per l'occupazione di spazi e aree pubbliche, il canone per l'occupazione di spazi e aree pubbliche, l'imposta comunale sulla pubblicità e il diritto sulle pubbliche affissioni, il canone per l'installazione dei mezzi pubblicitari e il canone previsto dall'articolo 27, commi 7 e 8, del Dlgs 285/1992 limitatamente alle strade di pertinenza dei Comuni e delle Province, assorbendo altresì ogni canone ricognitorio o concessorio previsto da norme di legge o da regolamenti comunali o provinciali.

L'esame del testo relativo al nuovo prelievo evidenzia una serie di criticità e di lacune che lasciano fortemente perplessi, pur se si può essere senz'altro d'accordo con l'obbiettivo di semplificazione della tassazione dell'utilizzo a fini privati di suolo e spazi pubblici che si è inteso perseguire e che, tuttavia, a causa dell'errata impostazione che caratterizza il provvedimento in esame, in gran parte non sembra essere stata raggiunta. Gli operatori del settore, sia gli enti locali che i destinatari, avevano chiesto al governo nel corso del 2020 il differimento dell'entrata in vigore al 1 gennaio 2022 del "canone unico", suggerendo una serie di modifiche al legislatore al fine di apportare interventi migliorativi all'articolato. Ma l'esecutivo non ha ritenuto necessario ascoltare queste richieste, pur rese attuali e addirittura urgenti anche a causa dell'emergenza da Covid-19, che ha particolarmente colpito i soggetti passivi delle entrate oggetto di unificazione.

In primo luogo va rilevato come il «canone unico» non sia affatto unico considerato che, secondo quanto stabilisce il comma 819, i presupposti del canone sono 2. Il primo, lettera a) è l'occupazione di aree appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile dell'ente e il secondo, lettera b), è la diffusione di messaggi pubblicitari. È evidente che in questo modo è stata riprodotta esattamente la struttura dei due tributi, (tassa per l'occupazione di aree pubbliche e imposta di pubblicità) che dovevano essere unificati, per cui non si raggiungerebbe affatto l'effetto di semplificazione dal momento che, sotto uno stesso titolo, si avrebbero in realtà due tributi/entrate diversi. Appare, pertanto, assolutamente discutibile l'ipotesi di sostituire i prelievi di natura tributaria (tassa di occupazione, spazi aree pubbliche, imposta comunale sulla pubblicità, canone per l'installazione degli impianti pubblicitari, e uno di natura patrimoniale, canone per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche) con uno di natura patrimoniale secondo la definizione dell'articolo 1 comma 816 della legge 160/2019. Al riguardo, premesso che per stabilire la natura patrimoniale del prelievo in questione non è sufficiente il nomen juris, come costantemente affermato dalla giurisprudenza costituzionale, ma occorre analizzare la sua struttura per cui nel caso in esame è legittimo avere forti dubbi sulla pretesa natura di entrata patrimoniale del «canone unico», cosa di cui si potrà essere certi solo dopo eventuali chiarimenti da parte della Corte costituzionale eventualmente adita, con tutto ciò che ne consegue ivi compresa la confusione nella futura gestione di una consistente entrata per i Comuni e di un consistente onere per i contribuenti/utenti. Non va dimenticato infatti che la Corte Costituzionale, da un lato, con la sentenza n. 64/2008 aveva dichiarato che il canone per l'occupazione spazi e aree pubbliche disciplinato dall'articolo 63 del Dlgs 446/1997 non aveva natura tributaria ma natura patrimoniale, mentre, con l'ordinanza n. 18/2010 aveva ritenuto che il canone comunale sulla pubblicità previsto dall'articolo 62 del citato Dlgs 446/1997 avesse natura tributaria.

Preme qui evidenziare come in concreto questi differenti presupposti stiano mettendo in crisi i Comuni che entro il 31 di marzo debbono approvare le norme regolamentari e le conseguenti tariffe in ragione della proroga del termine per l'approvazione dei bilanci di previsione degli enti locali, come previsto dal decreto del ministro dell'Interno del 13 gennaio 2021. Non pochi Comuni hanno, intanto, approvato una delibera di consiglio comunale che ha introdotto il canone rinviando, poi, a una successiva delibera per regolamentare in dettaglio l'entrata, in attesa e con la speranza di avere maggiori chiarimenti e delucidazioni o modificazioni, ivi compreso il già auspicato differimento dell'entrata in vigore dell'articolato. L'Anci ha suggerito un testo di regolamento del canone unico e altrettanto è stato fatto dalle associazioni di settore, ma, nonostante questo, molti Comuni non hanno resistito alla necessità di dover «spacchettare» il canone unico, approvando, ad esempio, alcuni un separato regolamento per il canone pubblicitario e altri un separato regolamento per il canone mercatale, disciplinando, invece, in un unico testo il canone per l'occupazione del suolo pubblico.

Altro punto che ha destato forti perplessità è quello della determinazione delle tariffe che vengono impropriamente definite «standard» (sarebbe stato meglio definirle «base») lasciando all'ente la libertà di stabilire in concreto il loro importo in modo da assicurare un gettito pari a quello dei tributi o canoni che verrebbero sostituiti, secondo quanto stabilito al comma 817. Tutto ciò apparirebbe ragionevole se non che, con una previsione di cui non si capisce bene il senso, lo stesso comma 817 dà la possibilità di variare il gettito attraverso la modifica delle tariffe senza chiarire chi dovrebbe stabilire questa modifica (il legislatore nazionale o l'ente impositore) e quando.

Altra questione su cui deve essere richiamata l'attenzione è quella sull'applicazione delle sanzioni e delle eventuali controversie scaturenti dall'impugnazione di esse. Queste ultime sono configurate quali sanzioni per violazioni dei regolamenti comunali, per cui di competenza, a seconda dei casi e delle questioni dedotte in giudizio, dell'autorità giudiziaria ordinaria e di quella amministrativa, con tutto quel che ne consegue in termini di complicazioni gestionali e di costi sia per gli enti impositori che per i soggetti privati interessati. La classificazione dell'entrata come tributaria darebbe una maggiore certezza e semplificazione del regime sanzionatorio dovendosi fare riferimento alle disposizioni previste dai Dlgs 471/1997, 472/1997 e 473/1997.

(*) Membro comitato nazionale Ancrel
(**) Direttore società riscossione in-house Comune di Siena

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CORSO PROFESSIONALE PER REVISORI DEGLI ENTI LOCALI
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