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Incarichi di collaborazione a super-esperti e appalti di servizi, enti alla prova di procedure differenziate

É quanto mai necessario fare chiarezza sulla distinzione tra le due possibili soluzioni

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di Arturo Bianco

É quanto mai necessario fare chiarezza sulla distinzione tra gli incarichi di collaborazione che le Pa possono conferire a esperti di elevata qualificazione e gli appalti di servizi; tale chiarimento non può che essere dettato dal legislatore. Occorre avere ben chiaro che non siamo in presenza di una discussione accademica o teorica, ma di scelte che hanno effetti assai diversi e che impongono il rispetto di procedure assai differenziate, per esempio con riferimento al vincolo della trasmissione alla Corte dei conti degli atti relativi alle collaborazioni di importo superiore a 5.000 euro. La necessità di fare chiarezza è dimostrata anche dalle indicazioni non convergenti della magistratura amministrativa e di quella contabile, nonchè dalle conseguenze che si determinano per i pensionati, che non possono ricevere incarichi di studio e consulenza dalle Pa, ma possono essere destinatari di incarichi professionali o appalti di servizi. Per non dire dei legami con gli aspetti fiscali, in particolare dopo che il legislatore nazionale ha vietato il conferimento da parte delle amministrazioni pubbliche di incarichi di collaborazione coordinata e continuativa (cococo). Il chiarimento si impone anche sul versante delle procedure di scelta del collaboratore o del destinatario dell'appalto di servizi, nonché delle forme di pubblicità. Tale esigenza non è resa meno rilevante dalla constatazione che nell'uno e nell'altro caso occorre comunque dare corso a procedure selettive e garantire la pubblicazione sul sito dell'ente nella sezione amministrazione trasparente. Il superamento dei tetti di spesa per gli incarichi di consulenza, studio e ricerca non rende dal canto suo meno importante la necessità di un chiarimento.

Ricordiamo che la norma fondamentale di riferimento per gli incarichi di collaborazione è l'articolo 7 del Dlgs 165/2001, mentre la disciplina dei contratti di servizio è dettata dal Dlgs 50/2016 (codice degli appalti).

Vediamo subito come la più recente giurisprudenza amministrativa, sentenza del Tar del Lazio, sezione 2-quater, n. 2401/2022 inquadra il tema: si concretizza un rapporto di lavoro autonomo nel caso di contratti di servizio affidati a prestatori d'opera o a piccole società, mentre siamo nell'ambito di un appalto se l'affidamento è di rilevante importo. A sostegno di questa tesi vengono richiamate le indicazioni dettate dalla giurisprudenza della Corte di cassazione, ad esempio la sentenza n. 12519 del 2010.

Per la magistratura contabile, con riferimento in particolare alle Linee Guida dettate dalla sezione regionale di controllo della Corte dei conti dell'Emilia-Romagna nella deliberazione n. 241/2021 (su NT+ Enti locali & edilizia del 22 dicembre), si deve superare la tradizionale distinzione per cui l'appalto di servizi è caratterizzato dal carattere prevalente della organizzazione stabile, mentre si integrano i presupposti della collaborazione nel caso in cui l'elemento prevalente è l'apporto individuale. Sulla scorta dei principi comunitari, si deve prender atto dell'ampliamento della nozione di appalto di servizi, che va ben al di là della definizione contenuta nel codice civile: ad esempio tutti gli incarichi conferiti a ingegneri ed architetti vanno in linea generale considerati tali, alla stregua delle prestazioni di servizi in cui «l'esito finale assuma, all'interno dei vari procedimenti amministrativi funzione autonoma e stabile», nonché nei casi in cui il risultato della prestazione è autosufficiente, rientrando invece nell'alveo della collaborazioni o consulenze i casi in cui sia necessario un atto dell'ente per dare concreta attuazione al risultato dell'apporto esterno.

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