Invarianza di gettito per il canone unico patrimoniale
Si approssima il termine per l’approvazione del bilancio di previsione 2025-2027 e quindi anche quello per definire le tariffe e le aliquote dei tributi comunali che, come noto, devono accompagnare lo stesso (fatta eccezione per la Tari).
Una delle questioni più discusse riguarda la possibilità per gli enti locali di variare, in particolar modo in incremento, le tariffe del canone patrimoniale di concessione, autorizzazione o esposizione pubblicitaria (canone unico patrimoniale).
La problematica nasce dall’interpretazione dell’ambigua norma del comma 817 dell’articolo 1 della legge 160/2019, in base alla quale il canone è disciplinato dagli enti in modo da assicurare un gettito pari a quello conseguito dai canoni e dai tributi che sono stati sostituiti dal medesimo (tosap, imposta comunale sulla pubblicità, cosap, cimp e canoni ricognitori e concessori). Ambiguità che nasce dall’ultima parte del medesimo comma che fa salva, in ogni caso, la possibilità di variare il gettito attraverso la modifica delle tariffe.
Secondo una rigida interpretazione, la norma impedirebbe qualsiasi aumento tariffario che possa incrementare il gettito complessivo del canone, rispetto a quello assicurato dai prelievi previgenti fino al 2020.
La questione è stata affrontata dalla Corte dei conti della Lombardia, con la deliberazione n. 216 del 9/10/2024. La Corte ha ritenuto che la norma abbia stabilito un vincolo tendenziale di parità di gettito, precisando che la delimitazione del potere dei comuni sulla regolamentazione del canone unico è intesa nel senso di ritenere l’invarianza quale preclusione ad intervenire sui presupposti e sulle componenti del tributo, conservando il potere di disciplinare le tariffe del CUP le cui soglie standard sono comunque predefinite dalla legge. Invarianza che, secondo la Corte, sulla scorta di quanto affermato dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 5632 del 26/06/2024, è da considerarsi anche come scostamento in aumento. Il Consiglio di Stato infatti ha ritenuto che il gettito derivante dalle complessive entrate tributarie e corrispettive che il canone è andato a sostituire non può essere variato in aumento rispetto al precedente gettito così individuato (comma 817). Il legislatore ha delimitato il potere dei Comuni ritenendo che “l’invarianza di gettito è un limite alle determinazioni comunali. L’ente può disciplinare le tariffe del canone, modificandole rispetto a quelle standard, senza però poter superare la soglia predefinita di gettito”. A detta del Consiglio di Stato tale interpretazione della norma del comma 817 esclude i sospetti di incostituzionalità della stessa, per violazione dell’articolo 23 della Costituzione, avendo il legislatore delimitato il potere di determinazione in aumento del canone da parte dei Comuni, fissando un tetto massimo, che la discrezionalità degli Enti non può superare.
In altri termini, secondo tale interpretazione, i Comuni possono modificare le tariffe del tributo, ovvero prevedere agevolazioni ed esenzioni, ma devono assicurare un gettito complessivo tendenziale equivalente a quello ottenuto con il sistema precedente per non compromettere il principio degli equilibri di bilancio già all’atto di istituzione del canone unico, mantenendo prevedibilmente il precedente livello di pressione impositiva derivante dai canoni e dai tributi sostituiti.
Il rispetto del vincolo tendenziale di parità di gettito certo deve tenere conto degli aumenti comunque previsti dalla legge, come ad esempio la rivalutazione monetaria delle tariffe del canone sulle occupazioni realizzate con servizi di pubblica utilità (comma 831) o con le antenne (comma 831-bis). Come a dire che il gettito potenziale assicurato dai previgenti prelievi sarà aggiornato per effetto degli incrementi di legge.
Tale vincolo appare molto stringente e penalizzante per gli enti, che in questo modo di fatto perdono un’importante leva, nonostante l’autonomia finanziaria riconosciuta agli stessi dalle norme costituzionali.
La soluzione, tuttavia, al fine di evitare possibili contenziosi, non può che passare per un intervento normativo che chiarisca la possibilità per gli enti di incrementare le tariffe e conseguentemente il gettito (al di la degli aumenti di legge) e che magari stabilisca un limite all’incremento tariffario o del gettito, necessario per la costituzionalità del prelievo, che al tempo stessa consenta agli enti adeguati margini di manovra, in un contesto di finanza pubblica caratterizzato da nuovi contributi richiesti agli enti (pur se sotto forma di accantonamenti) e di spese crescenti per fattori spesso esogeni.
(*) Vice presidente Anutel
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