I temi di NT+Tributi e bilanci a cura di Anutel

La componente pubblicitaria del canone unico patrimoniale non è un tributo

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di Stefano Baldoni (*) - Rubrica a cura di Anutel

La componente pubblicitaria del canone unico patrimoniale, introdotto dall'articolo 1, comma 816 della legge 160/2019, non ha natura tributaria. Pertanto, è possibile per il regolamento comunale differenziare il trattamento tariffario degli impianti pubblicitari, oltre che sulla base della superficie, anche tenendo conto della tipologia opaca o luminosa della pubblicità e del carattere ordinario o speciale delle località del territorio comunale.

La recente sentenza del Tar Brescia, n. 576/2023 prende posizione sulla natura tributaria del canone pubblicitario introdotto dalla legge 160/2019 e sulla commisurazione delle tariffe, giungendo a conclusioni opposte a quelle di pronunce di altri Tar (Lazio, sentenza 3248/2022).

I Giudici bresciani rammentano che, secondo la giurisprudenza costituzionale (Corte costituzionale, sentenza n. 269/2017) un'entrata ha natura tributaria se soddisfa alcuni precisi criteri; ossia che comporti una decurtazione patrimoniale a carico di un soggetto passivo dotato di una specifico indice di capacità contributiva; che vi sia l'assenza di un rapporto sinallagmatico idoneo a giustificare la decurtazione patrimoniale; la destinazione della decurtazione patrimoniale al finanziamento delle spese pubbliche. Inoltre, non sono tributi le entrate che hanno natura indennitaria, ossia quando il prelievo è previso a fronte di un'attività legittima del privato che sia in grado di creare pregiudizi alla collettività. Nel caso del canone suddetti elementi non sussistono sicuramente per la componente di occupazione suolo, in quanto c'è la sottrazione di un bene pubblico materiale alla collettività. Ma anche nella componente pubblicitaria vi è un bene pubblico il cui utilizzo è autorizzato al privato, ossia il paesaggio urbano, bene di natura immateriale. Il presupposto della decurtazione patrimoniale imposta al privato con in canone è la mera visibilità degli impianti pubblicitari da luoghi pubblici o aperti al pubblico, ossia la modifica del paesaggio urbano. Modifica che viene misurata in termini di superficie. Pertanto, secondo il Tar, poiché lo spazio in cui vengono diffusi i messaggi pubblicitari è qualificabile come bene comune nella disponibilità dell'ente pubblico, bene dotato di potenzialità commerciali il cui sfruttamento può essere concesso a soggetti particolari dietro versamento di un corrispettivo per la perdita parziale della fruizione collettiva, lo stesso si caratterizza per il carattere di corrispettività rispetto alla sottrazione alla collettività di un bene pubblico immateriale. Pur se il canone non è qualificabile come indennizzo ambientale e neppure come tributo ambientale, in quanto quest'ultimo è volto a proteggere i beni comuni, tassandone il consumo; il canone invece al contrario rende disponibile ai privati beni pubblici materiali (il suolo) e immateriali (il paesaggio urbano), a fronte di un pregiudizio patrimoniale per il privato.

Ciò fa sì che l'assenza di un limite massimo di legge all'imposizione (contraddicendo quindi la tesi di altri Tar, che vede nella previsione del comma 817 dell'articolo 1 della legge 160/2019 la fissazione di predetto limite) non comporti alcuna illegittimità costituzionale della norma, muovendosi la potestà regolamentare degli enti nei più ampli confini dell'autonomia finanziaria ex art. 119 cost., tipica delle entrate non tributarie.

Da quanto sopra discende che l'ente, nell'esercizio della potestà regolamentare, non è soggetto ai limiti dell'articolo 52 del Dlgs 446/1997, che riguardano propriamente i tributi; anzi nelle entrate non tributarie sarebbe irragionevole per il Tar comprimere la discrezionalità degli enti locali nella gestione di entrate che presuppongono una precisa rilevazione delle caratteristiche dei beni pubblici a livello locale.

Ne deriva altresì, secondo i Giudici bresciani, che il Comune, nell'esercizio della potestà regolamentare, possa prevedere moltiplicatori della tariffa standard differenziati in base non solo alla superficie degli impianti pubblicitari, ma anche alla tipologia opaca o luminosa degli stessi, al carattere ordinario o speciale della località del territorio comunale, ovvero tra le differenti forme di pubblicità (ordinaria, con veicoli, pannelli luminosi, striscioni, aeromobili, palloni frenati, volantinaggio, amplificatori). Infatti, seppure è vero che il comma 825 della legge 160/2019 associa la determinazione del canone alla superficie complessiva dell'impianto pubblicitario, occorre tenere conto che il comma 817 della medesima legge consente ai Comuni di variare il gettito, modificando le tariffe e che il comma 821, lettera b, della legge 160/2019, rimette al regolamento l'individuazione degli impianti pubblicitari autorizzabili e di quelli vietati e del numero massimo degli impianti autorizzabili per tipologie e superficie. Quindi il potere attribuito all'ente di concedere o negare l'autorizzazione consente allo stesso di stabilire le condizioni per l'autorizzazione stessa. Ne deriva che, seppure imprescindibilmente la base di calcolo del prelievo è la superficie dell'impianto, l'ente può (anzi è necessario secondo il Tar) stabilire una serie di parametri che tengano conto delle installazioni del territorio e che riflettano il maggiore o il minore valore di mercato di una determinata postazione. Parametri che rientrano nel calcolo matematico della tariffa (e non sono quindi parte della base di calcolo che resta la superficie) e che, come tali, sfuggono alla riserva di legge. Peraltro, è la stessa legge 160/2019 che invita gli enti locali a tutelare le località più fragili e meno adatte alla diffusione di messaggi pubblicitari e ad applicare tariffe più elevate alle postazioni di maggiore interesse economico.

Un ultimo punto della sentenza merita di essere sottolineato, laddove i giudici evidenziano la necessità di un trattamento più favorevole per gli impianti che non presuppongono l'occupazione di suolo pubblico, mediante l'applicazione di tariffe minori.

Altresì legittima è l'attribuzione alla giunta da parte del regolamento del compito di stabile i coefficienti correttivi della tariffa standard, rientrando appunto nel calcolo della tariffa, la cui determinazione è attribuita dall'articolo 42 del Dlgs 267/2000 al predetto organo.

(*) Vice presidente Anutel
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