I temi di NT+L'ufficio del personale

Mancata assunzione, rimborso spese legali, lavoratori disabili e malattia

La rubrica settimanale con le indicazioni sintetiche delle novità in tema di gestione del personale nelle pubbliche amministrazioni

di Gianluca Bertagna

Risarcimento del danno per mancata assunzione
Va risarcito il soggetto che, dopo essere stato chiamato per la sottoscrizione di un contratto di lavoro con la pubblica amministrazione, e in conseguenza di ciò abbia rinunciato a un'altra opportunità di lavoro, non viene assunto dall'ente a causa di sopraggiunti limiti normativi, in realtà già preesistenti al momento della chiamata.

Lo ha affermato la Corte di cassazione lavoro, con l'ordinanza n. 12836/2020, con la quale ha respinto il ricorso di un ente, condannato a risarcire circa 70 mila euro a un lavoratore, chiamato per essere assunto a tempo determinato, ma mai entrato in servizio a causa di un sopraggiunto blocco assunzionale, in realtà già vigente e pertanto, ricorreva in capo all'amministrazione, un'ipotesi di responsabilità precontrattuale.
La Cassazione ha confermato che questa responsabilità opera nella fase che precede la conclusione di un contratto e la norma di cui all'articolo 1337 del codice civile prevede che le parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto devono comportarsi, secondo buona fede. Da ciò, si può rilevare come il cuore della responsabilità risiede, soprattutto, nell'applicazione dei principi di buona fede e correttezza, espressi dall'ordinamento giuridico, di conseguenza, la responsabilità giuridica delle parti sorge nel caso del mancato rispetto di questi presupposti.
Tuttavia, l'amministrazione aveva violato i principi di buona fede e affidamento, atteso che risultava incontestato che quando era stata inviata la comunicazione al soggetto, il blocco delle assunzioni era stato già disposto.

I requisiti per il rimborso delle spese legali ai dipendenti
La Corte di Cassazione lavoro, con l'ordinanza n. 11014/2020, ha respinto il ricorso di un lavoratore che, assolto in un giudizio penale, si era visto negare il rimborso delle spese legali dalla pubblica amministrazione di appartenenza.

La Cassazione ha confermato la legittimità del diniego, sottolineando che «l'amministrazione è legittimata a contribuire alla difesa del suo dipendente imputato in un procedimento penale sempreché vi sia un interesse specifico al riguardo e questo interesse deve individuarsi qualora sussista imputabilità all'amministrazione dell'attività e che la medesima sia connessa con il fine pubblico».

Divieto di discriminazione per i lavoratori disabili
Un dipendente, affetto da disabilità e destinatario dei benefici previsti dalla legge 104/1992, era stato adibito a uno sportello di un ente, in modo continuativo e non saltuario, operante in turni di straordinario, compensati direttamente dai privati. Lo stesso, però, era stato escluso dalla turnazione, in maniera ingiustificata dall'ente, nonostante ricoprisse le stesse mansioni di tutti gli altri addetti al medesimo servizio.

La Corte di cassazione lavoro, con l'ordinanza n. 14075/2020, ha condannato l'ente nei gradi di merito per aver applicato una condotta discriminatoria nei confronti di un proprio lavoratore disabile affermando che «il principio di parità di trattamento comporta che non può essere praticata alcuna discriminazione in pregiudizio delle persone con disabilità. Si ha discriminazione diretta quando, per motivi connessi alla disabilità, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata una persona non disabile in situazione analoga».

Malattia e attività incompatibili
«In tema di licenziamento per giusta causa, la condotta del lavoratore, che, in ottemperanza delle prescrizioni del medico curante, si sia allontanato dalla propria abitazione e abbia ripreso a compiere attività della vita privata, la cui gravosità non è comparabile a quella di una attività lavorativa piena, senza svolgere una ulteriore attività lavorativa, non è idonea a configurare un inadempimento ai danni dell'interesse del datore di lavoro».

È questo il principio ribadito dalla Corte di cassazione lavoro, con l'ordinanza n. 13980/2020, con la quale ha analizzato il licenziamento irrogato a un soggetto che, durante la malattia, si era recato in vacanza facendosi trovare assente alle visite di controllo.
In particolare, nel confermare la legittimità del licenziamento, la Corte ha ricordato che l'espletamento di un'altra attività, lavorativa ed extra lavorativa, da parte del lavoratore durante lo stato di malattia è idoneo a violare i doveri contrattuali di correttezza e buona fede nell'adempimento dell'obbligazione e a giustificare il recesso del datore di lavoro, laddove si riscontri che l'attività espletata costituisca indice di una scarsa attenzione del lavoratore alla propria salute e ai relativi doveri di cura e di non ritardata guarigione, oltre a essere dimostrativa dell'inidoneità dello stato di malattia a impedire comunque l'espletamento di un'attività ludica o lavorativa.