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Né spaccaItalia né tagliaspesa - I reali effetti dell’autonomia

L'impatto sui conti dipende da come saranno definiti e finanziati gli standard minimi dei servizi. Tagli di spesa per coprire l'eventuale aumento dei costi

di Gianni Trovati

No, l’autonomia differenziata non «spaccherà» l’Italia, perché anche volendo non è semplice dividere ulteriormente un Paese in cui per esempio le verifiche ufficiali sulla sanità mostrano in Calabria un livello di servizi pari a poco più della metà di quello che si incontra in Emilia-Romagna o in Toscana (125 punti contro 222, monitoraggio dei Lea riportato nel Rapporto della Corte dei conti al Parlamento pubblicato il 19 gennaio). E no, nemmeno ridurrà la spesa pubblica grazie a una presunta «efficienza» regionale. Non lo prevede nemmeno il disegno di legge quadro che l’altroieri ha ottenuto il primo via libera del governo, e che sugli effetti fihttps://i2.res.24o.it/pdf2010/Editrice/ILSOLE24ORE/QUOTIDIANI_VERTICALI/Online/_Oggetti_Embedded/Documenti/2023/02/03/Ddl%20autonomia%20differenziata%20-%202%20febbraio%202023.pdfnanziari dell’autonomia fissa due principi piuttosto chiari.

Che accade alla spesa pubblica?

Il trasferimento delle competenze aggiuntive alle regioni, spiega il testo, dovrà avvenire «senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica» (articolo 8, comma 1), perché gli eventuali costi aggiuntivi prodotti dalla determinazione dei «livelli essenziali delle prestazioni» andranno coperti con tagli equivalenti su altre voci di spesa (a riuscirci): i finanziamenti extra dovranno infatti essere «coerenti con gli obiettivi di finanza pubblica» (articolo 4, comma 1).

Sulla legge quadro preparata dal ministro per gli Affari regionali e le Autonomie Roberto Calderoli, e corretta a più riprese in un confronto serrato con Regioni, alleati e Quirinale, lo scontro politico di questi giorni (non è una novità) preferisce la battaglia a colpi di slogan agli elementi di merito, scaldato com’è anche dal fuoco delle elezioni regionali che però si spegnerà presto. La realtà del testo esaminato in consiglio dei ministri è invece più prosaica, e sugli effetti della riforma mescola molte incognite a qualche certezza.

Quali materie si spostano?

Il primo problema è nell’elenco delle materie trasferibili. L’autonomia differenziata è stata introdotta in Costituzione dalla riforma, approvata nel 2001 dal centrosinistra con la netta contrarietà della destra («Un falso decentramento che mette una pietra tombale sul vero processo di devoluzione», la definì l’8 marzo 2001 il senatore leghista Stiffoni annunciando il «no» del Carroccio). Lì si fissano le materie a «legislazione concorrente» fra Stato e Regioni che possono essere oggetto dell’autonomia differenziata. Fra queste ci sono anche temi come la produzione e distribuzione dell’energia e le grandi reti di trasporto, complicati da declinare in chiave regionale. Nelle materie trasferibili, in un ventaglio che va dalla sicurezza sul lavoro a professioni e sport, spicca per il suo peso l’istruzione (52,2 miliardi all’anno).

È favorito il Nord o il Sud?

La risposta, oggi, non c’è. Tutto dipende da come saranno definiti i «livelli essenziali delle prestazioni», cioè gli standard minimi di servizio da garantire per assicurare i diritti civili sociali in modo omogeneo. La legge di bilancio dà 12 mesi di tempo per la costruzione di questi parametri, previsti da 22 anni ma fin qui inattuati. In teoria, la definizione del Lep dovrebbe favorire le aree oggi più svantaggiate, quindi soprattutto il Sud. Ma la realtà è molto variegata. Nell’istruzione la spesa statale in Lombardia è 528 euro per abitante, in Veneto è 545 euro, in Campania invece è 753 euro e in Calabria 816, mentre per la «tutela del territorio» il quadro è ribaltato e vede la spesa lombarda (84 euro pro capite) più che doppiare quella campana (31 euro; dati del Rapporto sulla spesa statale regionalizzata pubblicato a gennaio dalla Ragioneria generale dello Stato). I risultati effettivi dipendono da come saranno fissati i Lep; e soprattutto da come saranno finanziati.

Chi non partecipa ci perde?

No. Una clausola del Ddl garantisce «l’invarianza finanziaria per le singole Regioni che non siano parte delle intese» sul trasferimento di funzioni.

Il Nord tratterrà le sue tasse?

No. La cosa può deludere molti dei lombardi e dei veneti che votarono al referendum consultivo sull’autonomia del 22 ottobre 2017, ma il testo non evoca nemmeno lontanamente la questione del cosiddetto «residuo fiscale», cioè la differenza fra il gettito delle tasse prodotto in ogni territorio e la spesa pubblica che riceve. Certo, le eventuali funzioni aggiuntive andranno finanziate da «compartecipazioni al gettito di uno o più tributi erariali maturato nel territorio regionale». Ma la questione è più contabile che sostanziale perché si tratta di finanziare una spesa che già esiste sullo stesso territorio.