Personale

Prestazioni occasionali, nodo comunicazioni

Non è chiara l’inclusione delle Pa nel nuovo obbligo che prevede per domani la prima scadenza

di Tiziano Grandelli e Mirco Zamberlan

Entro domani, 18 gennaio, si dovrà assolvere per la prima volta all’obbligo di comunicazione delle prestazioni occasionali. La norma è stata introdotta dall’articolo 13 del Dl 146/2021 che ha integrato l’articolo 14 del Dlgs 81/2008. Le istruzioni sono contenute nella circolare 29 dell’11 gennaio con la quale il ministero del Lavoro specifica che il nuovo adempimento interessa solo i committenti che operano in qualità di imprenditori e per i quali si applica la sospensione dell’attività in caso di lavoro nero.

È necessario capire se la Pa rientri nel perimetro soggettivo di applicazione della nuova disposizione. La risposta non è scontata.

Si deve approfondire il concetto di committente-imprenditore. In primis, la mente corre alla definizione civilistica di imprenditore, sia commerciale sia agricolo. Perimetro all’interno del quale difficilmente è possibile collocare una pubblica amministrazione anche nel caso in cui svolga un’attività commerciale; si pensi a un Comune che gestisce un asilo nido o una casa di riposo.

Il riferimento al Codice civile non è scontato perché l’articolo 14 è collocato nel Testo unico sulla sicurezza nei luoghi di lavoro con l’obiettivo di contrastare il lavoro nero. Si deve osservare che gli obblighi di comunicazione all’inizio della prestazione lavorativa sono ordinariamente preventivi mentre per la Pa sono successivi, in quanto l’assunzione è subordinata a un iter che rende impossibile un rapporto di lavoro non in regola. Inoltre gli incarichi, che comprendono anche le prestazioni occasionali, sono oggetto di specifico monitoraggio, seppure ex-post, con l’anagrafe delle prestazioni.

La ricerca potrebbe passare al vaglio il Testo unico delle imposte sul reddito. In questo ambito la materia si complica. Non sono soggette a imposta le amministrazioni dello Stato e gli enti locali (Regioni, Province, Comuni, Unioni di Comuni, Comunità montane, Consorzi, associazioni e gli enti gestori del Demanio collettivo). Gli altri enti pubblici sono esclusi solo in caso di funzioni statali, previdenziali, assistenziali e sanitarie. Ne consegue che, per un ente pubblico, la gestione di una casa di riposo rimane esclusa mentre la vendita dei pasti a terzi paga le tasse. Se l’analisi si estende agli enti pubblici economici gli esempi potrebbero moltiplicarsi in una babele infinita di combinazioni, per cui si dovrebbe analizzare caso per caso la sussistenza dell’obbligo di comunicazione. Rimarrebbe da vagliare il riferimento alle attività rilevanti ai fini Iva, anche se questa prospettiva sembra meno probabile, per cui l’asilo nido gestito dal Comune rientrerebbe in questo ambito pur essendo non soggetto all’imposta sul reddito.

La ricostruzione sembrerebbe portare nella direzione di una possibile esclusione della Pa dall'applicazione del nuovo obbligo. Ma la complessità della materia e la rilevanza delle sanzioni non può che suggerire comportamenti prudenti in attesa di chiarimenti istituzionali.

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