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Procedure di liquidazione delle società a partecipazione pubblica, procrastinazione e responsabilità

di Carlo Vermiglio (*) e Lucio Dicorato (**) - Rubrica a cura di Ancrel

Il tema delle procedure di liquidazione delle società partecipate dagli enti locali ha sin qui registrato limitata attenzione da parte della dottrina economico-aziendale e nella prassi giurisprudenziale. Queste procedure, rientrano nel novero delle azioni di razionalizzazione previste dall'articolo 20 del Tusp e sono orientate a un più generale riassetto delle partecipazioni detenute dalle amministrazioni pubbliche. Il dipartimento del Tesoro ha evidenziato questa modalità di razionalizzazione dichiarata dalle pubbliche amministrazioni nel 10 per cento dei casi.

Le Sezioni riunite in sede di controllo della Corte dei conti, con il referto n. 19/SSRRCO/2020, relativo ai piani di revisione delle partecipazioni societarie detenute dalle amministrazioni dello Stato e dagli altri enti pubblici nazionali, si sono soffermate sul più ampio tema della razionalizzazione, sottolineando come in materia di liquidazione sussistano specifiche criticità che impongono opportune e tempestive valutazioni in merito. Più in dettaglio, i magistrati contabili hanno posto l'accento sull'eccessivo prolungamento temporale delle procedure, sui rischi derivanti dai contenziosi pendenti, che sovente costituiscono la principale causa di dilatazione temporale delle stesse procedure, nonché sulla solidità delle motivazioni poste a base delle ipotesi di liquidazione/mantenimento degli organismi societari. Difatti, hanno sostenuto i giudici, l'eccessivo prolungamento temporale si pone in contrasto con la funzione della procedura liquidatoria (tesa, in base al codice civile, a mantenere in vita la società al solo scopo di pagare i debiti e riscuotere i crediti, nella prospettiva della ripartizione dell'eventuale fondo patrimoniale residuo).

Secondo il rapporto partecipazioni del MEF inoltre, al 2017 si sono contate 788 società con procedure di liquidazione in corso, di cui 55 avviate da almeno un decennio e 242 da almeno un quinquennio.

Le medesime riflessioni sviluppate nell'indagine condotta dalle Sezioni riunite della Corte, trovano pieno accoglimento avuto riguardo al comparto degli enti locali.

Sia l'Ancrel che il mondo accademico hanno avuto occasione di segnalare quanto il fenomeno delle società in stato di liquidazione sia rilevante sul piano dimensionale e quanto siano gravose e complesse le ricadute in termini economico-finanziari per l'ente locale e per gli amministratori delle società.

Se da un lato rimane fermo il principio secondo cui agli enti in liquidazione è preclusa la possibilità di intraprendere nuove operazioni dovendosi questi ultimi occupare di dirimere i rapporti finanziari e patrimoniali pendenti, (Corte dei conti Lazio n. 66/2018/Par; Corte dei conti Autonomie n. 27/2016/Frg; Corte dei conti Liguria n. 84/208/Par), d'altro canto sono frequenti i casi di enti locali che "perseverano" nell'affidamento di compiti e attività ai loro organismi in liquidazione senza una preliminare (e doverosa) verifica dei connessi profili di responsabilità e di convenienza economica.

Questa circostanza si combina, sotto altro profilo, con la scarsa attenzione attribuita dal management pubblico alla stessa procedura di liquidazione, sovente inquadrata come "mero adempimento formale" che conduce a un "binario morto" le aziende a vario titolo partecipate.

A questo si aggiunge l'impossibilità, da parte dell'ente locale, di ogni tentativo di "soccorso finanziario" alle società in liquidazione (articolo 14 comma 5 del Tusp), allorquando il patrimonio di quest'ultima non sia in grado di soddisfare le pretese creditorie, anche nel caso di società in-house (Corte dei Conti Puglia n. 47/2019/PAR; Corte dei conti Piemonte n. 3/2018/PAR; Corte dei conti Liguria n. 84/2018/PAR e n. 82/2013). Queste società «rimangono in vita senza la possibilità di intraprendere nuove operazioni rientranti nell'oggetto sociale ma al solo fine di risolvere i rapporti finanziari e patrimoniali pendenti, compresi quelli relativi alla ripartizione proporzionale tra i soci dell'eventuale patrimonio netto risultante all'esito della procedura». (Corte dei conti Lazio n. 1/2019/PAR; Corte dei conti Abruzzo, n. 279/2015/PAR; Corte dei conti n. 42/2014/PAR e n. 260/2015/PRSE, Corte dei conti Piemonte, n. 159/2014/PRSE, Corte dei conti Liguria, n. 82/2013/PAR).

Il socio pubblico, al pari di ogni socio di società di capitali, risponde delle obbligazioni sociali nei limiti della quota di capitale detenuta e nel caso di ripiano di debiti della propria società, rinunciando al limite legale della responsabilità patrimoniale, di fatto si accolla i debiti di un terzo soggetto (Corte dei Conti Piemonte n. 99/2015/PRSE). Nel caso in cui il socio pubblico intenda farsi carico delle obbligazioni sociali, è tenuto a evidenziare la ragione economico giuridica dell'operazione e la sussistenza di un prevalente interesse pubblico, che dimostri il perseguimento dei canoni di efficienza, efficacia ed economicità dell'azione amministrativa soprattutto in termini di razionalità economica. In caso contrario si tratterebbe di un ingiustificato trattamento di favore verso i creditori della società incapiente (Corte dei conti Lombardia, n. 380/2012/PRSE; n. 337/2013/PAR; n. 42/2014/PAR; n. 15/2015/PRSE).

Un simile atteggiamento, declinato in chiave economico-aziendale, è indicativo di un approccio che svilisce il significato intrinseco del percorso di razionalizzazione del "portafoglio" di partecipazioni societarie dell'ente locale, che dovrebbe assumere carattere strategico in quanto finalizzato a perseguire le finalità istituzionali pubbliche, a preservare il valore degli asset (le partecipazioni) mantenendo soltanto quelle capaci di creare valore economico e sociale; nondimeno, denota la debolezza intrinseca dei programmi di liquidazione definiti dagli amministratori delle società in liquidazione per quanto riguarda le concrete possibilità di realizzo nei termini e alle condizioni previste.

Questa circostanza pone l'accento sul valore che la variabile «tempo» assume nella vita delle aziende e sul rilievo strategico della durata delle procedure di estinzione degli organismi aziendali rispetto alla più ampia salute economico-finanziarie delle pubbliche amministrazioni e al buon funzionamento del sistema pubblico nel suo insieme.

L'insieme di queste condizioni richiede una attenta disamina caso per caso che non può prescindere anche da considerazioni legate al contesto entro cui sono state avviate le relative procedure. Se da un lato la Corte richiede agli enti soci di monitorare periodicamente l'andamento delle procedure di liquidazione in corso, d'altro canto si ravvisa l'urgenza di procedere a un esame critico e analitico delle procedure in essere, indagando le ragioni che le hanno determinate e la loro effettiva permanenza, nonché di condurre una approfondita e selettiva analisi degli impatti economico-finanziari e giuridici derivanti dalla prolungata estensione temporale delle procedure oggi ancora pendenti.

(*) Professore associato in economia aziendale Università di Messina
(**) Dottore commercialista, revisore legale, assegnista Università Tor Vergata, coordinatore gruppo di lavoro partecipate Ancrel

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CORSO PROFESSIONALE PER REVISORI DEGLI ENTI LOCALI
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