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Rassegna sulle autorizzazioni ambientali

di Dario Morelli

Autorizzazione integrata ambientale (Aia) – Competenza delle Regioni al rilascio delle autorizzazioni degli impianti ex articolo 196 Dlgs 152/2006 – Riesame – Rinnovo – Articolo 29-octies, commi 3 e 4, Dlgs 152/2006 – Elenco delle ipotesi di riesame – Tassatività – Potere incondizionato della P.a. di avviare il riesame – Insussistenza – Potere di adottare prescrizioni conformative

Massime

1.      Le autorità competenti in materia ambientale non hanno il potere incondizionato di avviare il riesame di un’autorizzazione integrata ambientale (AIA).

2.     L’elenco delle ipotesi di riesame dell’AIA contemplato dall’articolo 29-octies del D. Lgs. N. 152/2006 è tassativo e non meramente esemplificativo.

3.     In sede di autorizzazione ex art. 208 del D. Lgs. n. 152/2006 è possibile introdurre prescrizioni ed indicazioni specifiche per il caso di specie, afferenti alle modalità di espletamento delle varie operazioni di trattamento assentite, determinate sulla base di criteri di indirizzo adottati dalla Regione.

4.     L’adozione di criteri di indirizzo rientra nella potestà regionale, in quanto espressione delle competenze in materia di autorizzazione attribuite alle Regioni dall’articolo 196, comma 1, lettera e), del medesimo D. Lgs. n. 152/2006.

5.     Il riesame immediato dell’AIA non è previsto neanche nel caso di sopravvenuta modifica delle regole tecniche statali di cui all’articolo 195, comma 2, lettera a), del d.lgs. n. 152/2006.

Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione IV, 25 luglio 2022, n. 6513

 

Commento

Con la sentenza in commento, il Consiglio di Stato chiarisce e delimita le ipotesi in cui è possibile ricorrere alla revisione del contenuto prescrittivo del titolo autorizzatorio nell’ambito dell’istituto del riesame dell’autorizzazione integrata ambientale (AIA). La pronuncia fornisce indicazioni all’amministrazione sulla possibilità di confermare o adeguare il contenuto dell’AIA, allineandolo, sulla base delle informazioni provenienti dai controlli o dalle ispezioni, alle disposizioni legislative comunitarie, nazionali o regionali – incluse le migliori tecniche disponibili – emanate successivamente al rilascio dell’AIA, al fine di ridurre gli impatti ambientali determinati dall’installazione.

Nel caso di specie, diversi impianti di trattamento rifiuti avevano impugnato i decreti con i quali la Regione Veneto aveva modificato le autorizzazioni degli stessi, ritenendo che i titoli autorizzatori dovessero essere “riesaminati” a seguito dell’adozione dei nuovi “Indirizzi tecnici” medio tempore approvati dalla stessa Regione con apposita delibera.

Il TAR Veneto aveva parzialmente respinto i gravami, accogliendo i motivi volti a censurare i limiti alla miscelazione dei rifiuti con le materie prime e con materiali diversi dai rifiuti.

Le pronunce del TAR Veneto sono state impugnate dalla Regione e successivamente riunite nel giudizio di appello.

Il Consiglio di Stato ha parzialmente riformato le sentenze del Tar, laddove avevano annullato la prescrizione, che riteneva non «ammissibile la diluizione degli inquinanti, attraverso la miscelazione o l'accorpamento tra rifiuti o la miscelazione con altri materiali, al fine di ridurre la concentrazione di inquinanti al di sotto delle soglie che ne stabiliscono la pericolosità; pertanto, la miscela in uscita deve mantenere le HP possedute da rifiuti in ingresso».

Preliminarmente, il Collegio è intervenuto demarcando in modo univoco la linea che separa la competenza regionale da quella statale in tema di AIA. È stato chiarito che i “criteri” adottati dalla Regione Veneto con la gravata deliberazione di giunta consistono in criteri di indirizzo, che possono essere tenuti in considerazione dall’amministrazione al momento del rilascio dell’autorizzazione per gli impianti di trattamento dei rifiuti. Non si tratta, quindi, di “norme tecniche” in materia di gestione di rifiuti, le quali rientrano nella competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 195, comma 2, lett. a), del D. Lgs. n. 152/2006. Tali poteri devono essere piuttosto considerati espressione delle competenze in materia di autorizzazione attribuite alle Regioni dall’articolo 196, comma 1, lettera e), del medesimo D. Lgs. n. 152/2006.

Il confine tra le competenze statali e regionali è ben nitido, secondo i giudici di appello. L’attribuzione dei poteri non si fonda su un criterio meramente nominalistico, bensì sostanziale. Le norme tecniche, difatti, sono di regola emanate con decreto del Ministro dell’ambiente, ed inoltre riguardano le modalità generali di trattamento delle varie tipologie di rifiuti (speciali, pericolosi, non pericolosi etc.). Diversa è la ratio dei criteri di indirizzo, i quali sono invece propedeutici «ad orientare il rilascio delle autorizzazioni al trattamento, ferma restando la possibilità che, in sede di autorizzazione, siano introdotte prescrizioni e misure più stringenti di quelle ricavabili in via generale dalle predette regole tecniche» in ossequio al principio che attribuisce alle Regioni la facoltà di assicurare livelli più elevati di tutela ambientale, ai sensi dell’articolo 3-quinquies, comma 2, del D. Lgs. n. 152/2006.

Di particolare rilievo appare, peraltro, la statuizione circa la natura “tassativa” e non meramente “esemplificativa” dei casi di riesame dell’AIA ai sensi dell’articolo 29-octies del D. Lgs. n. 152/2006, tra i quali si rammentano, in particolare, la scadenza del termine di validità dell’autorizzazione, la modifica degli impianti, la tutela della salute pubblica.

Secondo il Consiglio di Stato, infatti, il dato testuale della norma, indicando espressamente i casi in cui può esservi la necessità di modifica dell’AIA, non ammette un’ipotesi di riesame fondata su una valutazione «soggettiva o opinabile» circa la necessità di modificare le modalità generali di conduzione di talune attività.

Ciò, non solo, troverebbe quindi conferma nella lettura dell’articolo 29-octies cit., bensì rivelerebbe anche la ratio legis,poiché un’interpretazione difforme esporrebbe «il gestore dell’impianto a rischi di compromissione della propria attività».

In altri termini, considerato che i “criteri di indirizzo” approvati con la delibera impugnata non integrano nessuna ipotesi di revisione ai sensi del comma 4 del citato articolo 29-octies, e considerato altresì che è il legislatore a stabilire a monte i casi in cui può esservi tale necessità di un riesame/rinnovo, non si può riconoscere all’autorità competente in materia ambientale un potere incondizionato di avviare il riesame in qualsiasi momento.

L’AIA ha, difatti, una durata decennale, solo decorsi i quali sarà possibile sottoporla a una eventuale modifica, conformemente al vigente principio del tempus regit actum. Ciascuna autorizzazione è unicamente soggetta alle regole e alle prescrizioni adottate al momento del suo rilascio. Pertanto, gli eventuali nuovi “criteri di indirizzo” potranno venire in rilievo solo in sede di rinnovo o riesame, da compiersi tassativamente nei casi di cui all’articolo 29-octies del D. Lgs. n. 152/2006.

D’altronde, se anche la sopravvenuta modifica delle “norme tecniche” di competenza statale, di cui all’articolo 195, comma 2, lettera a), del D. Lgs. n. 152/2006, non comporta un riesame “immediato”, a fortiori ciò varrà anche per i nuovi “criteri di indirizzo” regionali, i quali non potranno che operare pro futuro.

Riferimenti giurisprudenziali

Cons. Stato, sez. IV, 17 maggio 2022, n. 3870;

Tar Puglia, sez. II, 16 maggio 2022, n. 680;

Tar Veneto, sez. II, 17 febbraio 2021, n. 235;

Tar Veneto, sez. II, 4 febbraio 2020, n. 124;