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Rassegna gestione dei rifiuti e curatela fallimentare

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di Francesca Allocco

Rifiuti – Fallimento – Curatore fallimentare – Non è successore del fallito –Oneri di ripristino e smaltimento – Esternalità negative di produzione – Ricadono sulla massa fallimentare – Responsabilità della curatela fallimentare – Posizione di detentore del curatore – Prescinde dall’accertamento di un nesso di causalità tra la condotta e il danno constatato

«Deve escludersi che il curatore possa qualificarsi come avente causa del fallito nel trattamento di rifiuti, salve, ovviamente le ipotesi in cui la produzione dei rifiuti sia ascrivibile specificamente all’operato del curatore, non dando vita il fallimento ad alcun fenomeno successorio sul piano giuridico.»
«La presenza dei rifiuti in un sito industriale e la posizione di detentore degli stessi, acquisita dal curatore dal momento della dichiarazione del fallimento dell’impresa, tramite l’inventario dei beni dell’impresa medesima ex artt. 87 e ss. L.F., comportano la sua legittimazione passiva all’ordine di rimozione di cui all’art. 192 d.lgs. n. 152/2006.»

«Per le finalità perseguite dal diritto comunitario, quindi, è sufficiente distinguere il soggetto che ha prodotto i rifiuti dal soggetto che ne abbia materialmente acquisito la detenzione o la disponibilità giuridica, senza necessità di indagare sulla natura del titolo giuridico sottostante.»

«Poiché l’abbandono di rifiuti e, più in generale, l’inquinamento, costituiscono ‘diseconomie esterne’ generate dall’attività di impresa (cd. “esternalità negative di produzione”), appare giustificato e coerente con tale impostazione ritenere che i costi derivanti da tali esternalità di impresa ricadano sulla massa dei creditori dell’imprenditore stesso che, per contro, beneficiano degli effetti dell’ufficio fallimentare della curatela in termini di ripartizione degli eventuali utili del fallimento.»

«La responsabilità della curatela fallimentare - nell’eseguire la bonifica dei terreni di cui acquisisce la detenzione per effetto dell’inventario fallimentare dei beni, ex artt. 87 e ss. L.F. -può analogamente prescindere dall’accertamento dell’esistenza di un nesso di causalità tra la condotta e il danno constatato.»

«Ricade sulla curatela fallimentare l’onere di ripristino e di smaltimento dei rifiuti di cui all’art. 192 d.lgs. n. 152/2006 e i relativi costi gravano sulla massa fallimentare.»

Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria 26 gennaio 2021, n. 3  

Massime orientamento maggioritario

«Il potere di disporre dei beni fallimentari (secondo le particolari regole della procedura concorsuale e sotto il controllo del giudice delegato) non comporta necessariamente il dovere di adottare particolari comportamenti attivi, finalizzati alla tutela sanitaria degli immobili destinati alla bonifica da fattori inquinanti. […] proprio il richiamo alla disciplina del fallimento e della successione nei contratti evidenzia che la curatela fallimentare non subentra negli obblighi più strettamente correlati alla responsabilità dell’imprenditore fallito. Non assume alcun rilievo la disposizione contenuta nell’art. 1576 del codice civile, poiché l’obbligo di mantenimento della cosa in buono stato locativo riguarda i rapporti tra conduttore e locatore e non si riverbera, direttamente, sui doveri fissati da disposizioni dirette ad altro scopo. Si deve aggiungere, poi, che il fallimento non è stato autorizzato a proseguire l’attività precedentemente svolta dall’impresa fallita. Pertanto, l’obbligo di bonifica del sito non potrebbe essere nemmeno collegato allo svolgimento di operazioni potenzialmente inquinanti»

Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 29 luglio 2003, n. 4328

«Qualora la responsabilità del fatto illecito sia imputabile ad amministratori o rappresentanti di persona giuridica ai sensi e per gli effetti del comma 3, sono tenuti in solido la persona giuridica ed i soggetti che siano subentrati nei diritti della persona stessa, secondo le previsioni del decreto legislativo 08.06.2001, n. 231, in materia di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni»

Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 30 giugno 2014, n. 3274

«il fallimento non può essere reputato un “subentrante”, ossia un successore, dell’impresa sottoposta alla procedura fallimentare. La società dichiarata fallita, invero, conserva la propria soggettività giuridica e rimane titolare del proprio patrimonio: solo, ne perde la facoltà di disposizione, pur sotto pena di inefficacia solo relativa dei suoi atti, subendo la caratteristica vicenda dello spossessamento (artt. 42 e 44 R.D. n. 267/1942). Correlativamente, il fallimento non acquista la titolarità dei suoi beni, ma ne è solo un amministratore con facoltà di disposizione, laddove quest’ultima riposa non sulla titolarità dei relativi diritti ma, a guisa di legittimazione straordinaria, sul munus publicum rivestito dagli organi della procedura (art. 31 R.D. n. 267/1942). Il curatore del fallimento, pertanto, pur potendo sottentrare in specifiche posizioni negoziali del fallito (art. 72 R.D. n. 267/1942), in via generale “non è rappresentante, né successore del fallito, ma terzo subentrante nell’amministrazione del suo patrimonio per l’esercizio di poteri conferitigli dalla legge” (omissis) “Per quanto esposto, dunque, nei confronti del fallimento non è ravvisabile un fenomeno di successione, il quale solo potrebbe far scattare il meccanismo estensivo, previsto dall’art. 194, comma 4, d.lgs. cit., della legittimazione passiva rispetto agli obblighi di ripristino che l’articolo stesso pone in prima battuta a carico del responsabile e del proprietario versante in dolo o colpa»

Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa. Trento, sentenza 20 marzo 2017, n. 93

Massime orientamento minoritario

«La detenzione dei rifiuti fa sorgere automaticamente un’obbligazione comunitaria avente un duplice contenuto: (a) il divieto di abbandonare i rifiuti; (b) l’obbligo di smaltire gli stessi. Se per effetto di categorie giuridiche interne questa obbligazione non fosse eseguibile, l’effetto utile delle norme comunitarie sarebbe vanificato (v. C. Giust. Sez. IV 3 ottobre 2013 C-113/12, Brady, punti 74-75). Solo chi non è detentore dei rifiuti, come il proprietario incolpevole del terreno su cui gli stessi sono collocati, può invocare l’esimente interna dell’art. 192 comma 3 del Dlgs. 152/2006. La curatela fallimentare, che assume la custodia dei beni del fallito, anche quando non prosegue l’attività imprenditoriale, non può evidentemente avvantaggiarsi di tale norma, lasciando abbandonati i rifiuti»

T.A.R. Lombardia - Brescia, sentenza 2 maggio 2016, n. 669

«La curatela fallimentare, che assume la custodia dei beni del fallito, anche quando non prosegue l’attività imprenditoriale, non può evidentemente avvantaggiarsi dell’art. 192 cit., lasciando abbandonati i rifiuti risultanti dall’attività imprenditoriale dell’impresa cessata. Nella qualità di detentore dei rifiuti secondo il diritto comunitario, la curatela fallimentare è obbligata a metterli in sicurezza e a rimuoverli, avviandoli allo smaltimento o al recupero»

Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 25 luglio, n. 3672

Commento
La questione sulla quale è stata chiamata a pronunciarsi l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nasce dalla notifica al curatore fallimentare dell’ordinanza comunale ex art. 192 del D. Lgs. 152/2006 per lo sgombero del deposito dei rifiuti ascrivibili alla società fallita.
L’Adunanza Plenaria è stata, dunque, chiamata a fare chiarezza sulla rilevanza giuridica, nei confronti del curatore fallimentare, degli oneri di ripristino e smaltimento rifiuti, rispetto ai quali originariamente era tenuta la società fallita, affrontando vari aspetti problematici dell’istituto, in un quadro giurisprudenziale che, nel tempo, si è divaricato in due orientamenti contrapposti.
I due orientamenti hanno trovato accoglimento, rispettivamente, in due sezioni del Consiglio di Stato: il minoritario, nella Quarta; il maggioritario, nella Quinta. Proprio la Quarta Sezione ha sollevato le questioni in esame, ai sensi dell’art. 99 cpa, rimettendo la decisione al Supremo Collegio (Ord. Cons. Stato, sez. IV, n. 5454 del 15/09/2020).
L’orientamento maggioritario per anni ha escluso la responsabilità del curatore fallimentare per la rimozione e lo smaltimento dei rifiuti della società fallita, fondando il proprio ragionamento sulla natura del ruolo svolto dal curatore. Ovvero, il curatore assume il ruolo di amministratore del patrimonio della società fallita, senza al contempo sviluppare alcun fenomeno successorio nei rapporti giuridici attivi e passivi della società fallita. In forza di tale premessa, l’orientamento maggioritario ha ritenuto non configurabile una forma di responsabilità “oggettiva” in capo alla curatela, vieppiù come mera responsabilità di posizione (ex multis Consiglio di Stato, Sez. V, sent. n. 4328/2003; Consiglio di Stato, Sez. V, sent. n. 3274/2014; T.R.G.A. Trento, sent. n. 93/2017).
Ciò non consente comunque di escludere tout court ogni forma di responsabilità in capo alla curatela nell’ambito della gestione dei rifiuti della società fallita. L’orientamento maggioritario ha infatti ritenuto sussistente la responsabilità al verificarsi di due circostanze (anche alternative): i) che i rifiuti fossero stati prodotti dalla curatela medesima durante l’esercizio provvisorio dell’attività della società fallita, concesso dal giudice fallimentare; ii) che vi fosse un’univoca, autonoma e chiara responsabilità del curatore fallimentare per l’abbandono dei rifiuti, in ragione del dovere di custodia e vigilanza che incombe sul suo ufficio.
Tale orientamento è rimasto invariato fino agli anni 2016/2017, quando si sono sviluppate diverse interpretazioni volte a riconoscere la responsabilità della curatela sulla scorta del concetto di “detenzione” di derivazione europea, nonché dei principi di prevenzione e “chi inquina paga”, richiamando a riguardo la giurisprudenza comunitaria.
In particolare, la responsabilità del curatore è stata riconosciuta proprio in ragione dell’attribuzione al medesimo della qualifica di “detentore” dei rifiuti della società fallita. In forza di codesta qualificazione e per effetto dell’applicazione del principio europeo di "chi inquina paga", il curatore fallimentare è stato ritenuto responsabile per la messa in sicurezza e lo smaltimento dei rifiuti della società fallita, a prescindere dalla configurabilità di un fenomeno giuridico di tipo successorio tra società fallita e curatela (T.A.R. Lombardia - Brescia, sent. n. 669/2016; Cons. Stato, Sez. IV, sent. 3672/2017).
L’Adunanza Plenaria, chiamata a dirimere il contrasto giurisprudenziale, ha innanzitutto rilevato che non sussiste alcun fenomeno successorio nei rapporti attivi e passivi della società fallita in capo al curatore fallimentare, poiché costui detiene solo un potere di gestione e disposizione del patrimonio della fallita, escludendo, pertanto, una forma di responsabilità di carattere soggettivo.
Tuttavia, tale premessa non sottrae il curatore alla legittimazione passiva rispetto all’ordine di rimozione dei rifiuti, l’obbligo derivando dalla situazione di detenzione del bene immobile inquinato su cui i rifiuti insistono. Detenzione acquisita in forza della conoscenza acquisita mediante l’inventario dei beni della fallita.
Proprio la sussistenza di un rapporto gestorio avente ad oggetto i beni immobili della società fallita, ossia di un titolo giuridico che consente l’amministrazione di un patrimonio nel quale sono compresi i beni immobili inquinati, induce a ritenere applicabili i principi in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale di cui alla Direttiva n. 2004/35/CE sulla responsabilità ambientale e, conseguentemente, a considerare legittimo il provvedimento dell’Amministrazione che prescriva al curatore-gestore dei beni immobili inquinati l’attivazione delle misure volte alla rimozione ed allo smaltimento dei rifiuti ivi collocati.
Considerato, altresì, che per l’effetto del principio “chi inquina paga”, ai sensi della normativa ambientale europea (art. 14, par. 1, della direttiva n.2008/98/CE) e nazionale (art. 188 del D. lgs. 152/2006), i costi della gestione dei rifiuti sono sostenuti dal produttore iniziale o dai detentori del momento o ancora dai detentori precedenti dei rifiuti, il curatore fallimentare – quale detentore dei rifiuti nella veste di gestore dei beni immobili inquinati ove essi insistono – è necessariamente obbligato alla rimozione degli stessi, nonché al ripristino dello stato dei luoghi.
Affermata, dunque, la responsabilità del curatore alla rimozione ed allo smaltimento dei rifiuti giacenti nell’immobile della società fallita, l’Adunanza ha affrontato altresì le problematiche nascenti dall’interazione della normativa ambientale con la procedura fallimentare.
Va premesso che, in applicazione del principio “chi inquina paga”, la situazione di detenzione dei rifiuti implica l’obbligo in capo al detentore di sopportare i costi per la rimozione e il successivo smaltimento degli stessi. Costi che, qualora il detentore sia la curatela fallimentare, si riverberano sulla massa fallimentare.
In riferimento ai casi in cui alla curatela fallimentare manchino le risorse economiche per fronteggiare tali spese, ipotesi poi non così remota, l’Adunanza Plenaria si è limitata a demandare all’attivazione dei c.d. “strumenti ordinari azionabili” la risoluzione della questione, esemplificativa dell’interrelazione tra la normativa ambientale e quella fallimentare, tanto complessa da essere meritevole di un approfondimento ulteriore ex se.
L’Adunanza ribadisce un proprio precedente (A.P. n. 10/2019), secondo il quale, in applicazione del principio “chi inquina paga”, ai fini della legittimazione passiva agli obblighi di ripristino e smaltimento rifiuti non sussiste l’onere di provare né l’elemento soggettivo e neppure la sussistenza di un rapporto successorio.
Richiamando la Direttiva n. 2004/35/CE, l’Adunanza plenaria afferma che la configurabilità della responsabilità ambientale come responsabilità oggettiva, seppur non di posizione. assurga a generale criterio interpretativo per gli ordinamenti nazionali.
Conseguentemente, assume rilevanza il principio di diritto enunciato nella sentenza della Corte di giustizia UE, sez. II, 13 luglio 2017, C-129/16, Ungheria c. Commissione europea, secondo cui, le disposizioni della Direttiva n. 2004/35/CE “non ostano a una normativa nazionale che identifica, oltre agli utilizzatori dei fondi su cui è stato generato l’inquinamento illecito, un’altra categoria di persone solidamente responsabili di un tale danno ambientale, ossia i proprietari di detti fondi, senza che occorra accertare l’esistenza di un nesso di causalità tra la condotta dei proprietari e il danno constatato”.
L’Adunanza Plenaria ne desume che anche la responsabilità della curatela fallimentare per la bonifica dei beni immobili del Fallimento, di cui ha la detenzione, “può analogamente prescindere dall’accertamento dell’esistenza di un nesso di causalità tra la condotta e il danno constatato”.
Svolte queste premesse, l’Adunanza ha dunque dichiarato il seguente principio di diritto:

“Ricade sulla curatela fallimentare l’onere di ripristino e di smaltimento dei rifiuti di cui all’art. 192 d.lgs. n. 152-2006 e i relativi costi gravano sulla massa fallimentare.”

La pronuncia in commento, quindi, pare aprire a scenari diversi che contraddicono i precedenti orientamenti giurisprudenziali, laddove pare ricollegare – quantomeno nella fattispecie esaminata – l’obbligo di rimuovere e smaltire i rifiuti alla mera situazione di detenzione dei beni immobili su cui insistono i medesimi rifiuti.

 

Riferimenti normativi

Direttiva 2008/98/Ce, art. 3, par. 1 punto 6; art. 14 par. 1

Direttiva n. 2004/35/CE

D. Lgs n. 152 del 2006, art. 192

Legge Fallimentare, artt. 87 e ss