Riduzione per riciclo rifiuti senza limite massimo
La riduzione proporzionale della quota variabile della tassa sui rifiuti spettante alle utenze non domestiche, che avviano al riciclo in forma autonoma i propri rifiuti urbani, non può avere un tetto massimo inferiore al 100% della stessa. Questa è la conclusione contenuta nella sentenza del Tar Toscana n. 457/2023.
La sentenza ha affrontato l'applicazione della disposizione del comma 649 dell'articolo 1 della legge 147/2013, in base alla quale i Comuni disciplinano nel proprio regolamento una riduzione della quota variabile spettante alle utenze non domestiche che avviano i rifiuti urbani prodotti al riciclo, avvalendosi di soggetti diversi dal servizio pubblico. Riduzione, che a mente della citata norma, deve essere proporzionale ai rifiuti riciclati in forma autonoma.
Si tratta di una riduzione che il legislatore ha da tempo introdotto nella Tari (peraltro presente anche nella previgente tarsu), al fine di tenere conto della possibilità che l'attuale disciplina normativa dei rifiuti concede alle utenze non domestiche di destinare al riciclo i propri rifiuti urbani, anche con operatori autorizzati diversi dal pubblico.
L'attuale disciplina dei rifiuti, dopo le modifiche apportate dal Dlgs 116/2020, stabilisce che sono rifiuti urbani tutti quelli prodotti dalle utenze non domestiche inserite nell'allegato L-quinquies al medesimo decreto e rientranti nelle tipologie previste dall'allegato L-quater. Con l'eccezione dei rifiuti della produzione e delle attività agricole e connesse, che sono sempre speciali.
Le utenze non domestiche possono gestire i propri rifiuti urbani avvalendosi del servizio pubblico ovvero abbandonando completamente lo stesso. Quest'ultima facoltà, prevista dall'articolo 198, comma 2-bis e dall'articolo 238 del Dlgs 152/2006, consente alle utenze di comunicare al comune e al soggetto gestore, entro il 30 giugno dell'anno precedente, l'intenzione di avvalersi per la gestione dei propri rifiuti di un operatore autorizzato, diverso da quello pubblico. Ciò a condizione però che siano avviati al recupero tutti i rifiuti urbani prodotti. In questa ipotesi, da un punto di vista tributario, l'utenza dovrà corrispondere la quota fissa del tributo, ma sarà esentata da quella variabile. Le utenze non domestiche che restano nell'ambito del servizio pubblico possono comunque decidere di avviare al riciclo alcune frazioni dei propri rifiuti tramite operatori diversi da quello pubblico. In questo caso, l'utenza sarà soggetta integralmente alla Tari, sia per la quota fissa che per quella variabile, con la possibilità però di vedersi abbattere quest'ultima in misura proporzionale alla quantità di rifiuti riciclati in forma autonoma, secondo la specifica regolamentazione comunale.
In tale fattispecie ci si è posti il dubbio della liceità di eventuali tetti massimi all'abbattimento della quota variabile, inferiori al 100%. Infatti, la regola della proporzionalità dovrebbe far conseguire che laddove l'impresa dimostri (secondo le modalità disciplinate dall'articolo 2 della deliberazione Arera n. 15/2022) di aver riciclato in forma autonoma tutti i rifiuti urbani prodotti, la stessa può beneficiare dell'abbuono dell'intera quota variabile. Questo è il ragionamento effettuato dai giudici amministrativi fiorentini, i quali hanno evidenziato: «É evidente che le previsioni regolamentari, nella parte in cui introducono dei limiti tassativi alla riduzione, finiscono per eludere il criterio della proporzionalità e, ciò, con la conseguenza che gli esercenti risultano onerati, sia del pagamento di un servizio non usufruito che dello smaltimento posto in essere in proprio. Il riferimento alla riduzione "proporzionale" della quota variabile del tributo deve essere interpretato nel senso che il Comune è tenuto a introdurre una disciplina regolamentare che garantisca una reale "modulazione" del coefficiente di riduzione, in ragione dell'effettiva quantità dei rifiuti smaltiti».
Tale principio è stato evidenziato anche dal Consiglio di Stato (sentenza n. 585/2018) e dalla Corte di cassazione (ordinanza n. 14038 del 23 maggio 2019; ordinanza n. 5786/2023).
In linea di principio le conclusioni della giurisprudenza non sono appuntabili. Tuttavia, due sono le osservazioni che si possono fare in merito.
In primo luogo, molti regolamenti comunali calcolano l'abbattimento della quota variabile sulla base del rapporto tra rifiuti riciclati e rifiuti urbani prodotti. Quest'ultimi, tuttavia, non sempre sono puntualmente individuabili per le aziende servite dal gestore pubblico che, di norma, non effettua una misurazione puntuale dei rifiuti conferiti (se non nei casi di gestioni che hanno adottato modalità di rilevazione puntuale delle quantità anzidette, anche in termini volumetrici; molte gestioni poi si limitano alla frazione del rifiuto indifferenziato e non rilevano i dati dei rifiuti differenziati). Ciò comporta che il denominatore del rapporto è calcolato spesso con criteri presuntivi (quali, ad esempio, i coefficienti Kd di cui al Dpr 158/1999), che tuttavia, spesso, sottostimano i rifiuti realmente prodotti. Determinando rapporti (rifiuti riciclati/rifiuti prodotti) ben superiori alla realtà. In sostanza, il rapporto finisce per essere vicino (o addirittura) superiore al 100%, pur se l'utenza ha conferito una parte dei rifiuti al servizio pubblico. In secondo luogo, la facoltà oggi attribuita dalle norme alle utenze non domestiche di fuoriuscire dal servizio pubblico, dovrebbe comportare la necessità di distinguere tra le utenze che sono fuori dal servizio pubblico e quelle che invece, pur rimanendo nel pubblico, conferiscono parte dei rifiuti ai soggetti privati. Le prime, dovendo recuperare tutti i rifiuti urbani prodotti in modo autonomo, non usano affatto il servizio pubblico e, quindi, correttamente non pagano la quota variabile; le seconde, invece, se hanno deciso di rimanere nella gestione pubblica, inevitabilmente utilizzano, anche solo in parte, il servizio (si pensi al conferimento del secco residuo indifferenziato, destinato allo smaltimento). Per tale motivo si ritiene corretto che paghino almeno una parte della quota variabile, giustificando, a parere di chi scrive, il mantenimento di un tetto massimo alla riduzione inferiore al 100% della quota variabile. Diversamente ragionando, infatti, un'utenza che risulta avere un rapporto rifiuti riciclati / rifiuti prodotti superiore o pari al 100%, pur conferendo parte dei propri rifiuti urbani al servizio pubblico, beneficerebbe di quest'ultimo senza corrispondere, neppure in parte, una quota della componente tariffaria legata proprio alla produzione di rifiuti.
(*) Vice presidente Anutel
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