I temi di NT+Rassegna di giurisprudenza

Rinnovo e revoca del permesso di soggiorno: le ultime pronunce

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di Esper Tedeschi

Rinnovo permesso – Notifica non andata a buon fine – Istruttoria – Buona fede
In presenza di una notifica non andata a buon fine, l'Amministrazione procedente deve - in osservanza delle regole di buona fede – reiterare la richiesta di integrazione documentale. Tali doveri di correttezza e di collaborazione, invero, si colorano di maggiore incisività se si considera la delicatezza dell'istanza di rinnovo del titolo di soggiorno, in relazione alla quale vengono coinvolti interessi di rilievo costituzionale e internazionale attinenti ai diritti fondamentali della persona. A fronte di interessi così delicati, a giudizio del Collegio, appare tollerabile – in un'ottica di bilanciamento – l'onere dell'Amministrazione di procedere, quantomeno, a una seconda notifica.
In conclusione, la mancata notifica degli avvisi di convocazione per l'espletamento delle verifiche istruttorie sulla domanda di rinnovo, comporta l'illegittimità del provvedimento reiettivo, risultando insufficiente il riferimento nella parte motiva dell'atto alla circostanza secondo cui l'istante avrebbe manifestato nei fatti una totale mancanza di interesse alla conclusione del procedimento in esame, soprattutto ove emerga dagli atti un unico tentativo di accesso da parte dell'Autorità presso la dimora del cittadino straniero.
Cons. Stato, sez. III, 4 agosto 2022, n. 6881

Comunicazione di rigetto – Art. 10-bis, l. n. 241 del 1990 – Art. 21-octies, l. n. 241 del 1990 – Provvedimenti sub iudice – Materia dell'immigrazione
Per costante giurisprudenza di questo Consiglio, l'eccezione di cui all'art. 21-octies, l. n. 241 del 1990, secondo periodo, si estendeva anche all'art. 10-bis, l. n. 241 del 1990, la cui violazione non avrebbe comportato l'automatica caducazione dell'atto a meno di non ravvisare un effettivo e oggettivo pregiudizio che la sua inosservanza avesse causato.
Tuttavia, il Collegio osserva che questa impostazione, pur coerente con la precedente versione normativa, non trova più riscontro nella novella legislativa di cui al citato art. 12, comma 1, lett. i), d.l. n. 76 del 2020, che ha aggiunto all'art. 21-octies l'inciso secondo cui “la disposizione di cui al secondo periodo non si applica al provvedimento adottato in violazione dell'articolo 10-bis”.
In caso di provvedimento discrezionale – e solo in questo – l'omessa comunicazione del preavviso di rigetto comporta la caducazione dell'atto viziato.
Occorre, a questo punto, stabilire se la novella legislativa possa applicarsi a provvedimenti amministrativi pendenti sub iudice ma resi in un momento temporale antecedente alla sua entrata in vigore.
Sul punto si è già espressa la Seconda Sezione del Consiglio di Stato, secondo cui “la nuova disposizione è [sia] applicabile anche ai procedimenti in corso, in quanto la consolidata giurisprudenza ha attribuito all' art. 21 octies comma 2 seconda parte la natura di norma di carattere processuale, come tale applicabile anche ai procedimenti in corso o già definiti alla data di entrata in vigore della legge di riferimento (Cons. St., sez. II, 12 marzo 2020, n. 1800; id. 9 gennaio 2020, n. 165; id., sez. V, 15 luglio 2019, n. 4964; id., sez. VI, 20 gennaio 2022, n. 359), con la conseguenza che si deve ritenere immediatamente applicabile alle fattispecie oggetto di giudizi pendenti, per i quali in caso di omissione del preavviso di rigetto resta inibita all'Amministrazione la possibilità di dimostrare in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (cfr. Cons. St., sez. III, 22 ottobre 2020, n. 6378). Pertanto, la norma si deve applicare nel testo vigente al momento del giudizio e non può dunque, allo stato, farsi alcun riferimento alla circostanza che il provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello adottato, circostanze, peraltro, neppure risultanti dagli atti di causa né dalla costituzione - meramente di stile - dell'Amministrazione”.
Tale orientamento trova ancor più applicazione nella speciale materia dell'immigrazione la quale richiede un rafforzato livello di certezza giuridica in quanto coinvolge il delicato bilanciamento tra i diritti fondamentali della persona e la sicurezza pubblica.
Cons. Stato, sez. III, 18 agosto 2022, n. 7267
Conversione permesso di soggiorno per motivi di studio – Conversione per motivi di lavoro – Requisito del contratto di lavoro – Valutazione prognostica
In tema di conversione del permesso di soggiorno per motivi di studio di cui all'art. 6, c. 1, del d.lg. n. 286 del 1998, a fronte della concreta volontà del cittadino straniero di soggiornare legalmente nel territorio dello Stato per svolgere una regolare attività lavorativa, non può opporsi la già intervenuta scadenza del permesso di soggiorno per motivi di studio, anche perché, in termini più ampi, in tema di conversione di permesso da studio a lavoro, mentre il rinnovo è in via generale condizionato alla disponibilità reddituale, quando si tratti di rilascio di un permesso di soggiorno per motivi di lavoro esso è subordinato all'esistenza di un elemento - il contratto di lavoro - idoneo a dimostrare non tanto la disponibilità, quanto la capacità reddituale, privilegiandosi un profilo rivolto al futuro, piuttosto che un elemento riguardante il periodo già decorso, sicché dovrà dunque ritenersi che la conversione di un permesso di soggiorno da studio a lavoro consegua ad una valutazione prognostica favorevole circa l'inserimento della persona nel mondo del lavoro e la conseguente titolarità di un reddito sufficiente per il proprio sostentamento, dimostrazione che sarà possibile soltanto al momento della dichiarazione dei redditi relativa all'anno di attività, oltre che ad una valutazione dell'assenza di elementi ostativi nel pregresso periodo di studio, senza che possa attribuirsi rilievo unico formale e dirimente alla sopravvenuta scadenza.
Cons. Stato, sez. III, 19 agosto 2022, n. 7318

Requisiti – Rinnovo permesso di soggiorno – Sostenibilità dell'ingresso e permanenza – Giudizio prognostico
Costituisce presupposto per il rinnovo del permesso di soggiorno, in base al combinato disposto di cui agli artt. 4, comma 3, d.lgs. n. 286/1998 e 13 comma 2 del DPR n. 394/1999, la disponibilità di un reddito, da lavoro o da altra fonte lecita, sufficiente al proprio sostentamento [e che] tale requisito non è eludibile ai fini del rilascio e del rinnovo del permesso di soggiorno, in quanto attiene alla sostenibilità dell'ingresso e della permanenza dello straniero nella comunità nazionale, al suo inserimento nel contesto lavorativo e alla capacità di contribuire con il proprio impegno allo sviluppo economico e sociale del paese, essendo finalizzato ad evitare il soggiorno di soggetti che non siano in grado di offrire un'adeguata contropartita in termini di lavoro e di partecipazione fiscale alla spesa pubblica. In senso analogo è stato osservato che grava «sullo straniero richiedente il rinnovo del titolo di soggiorno l'onere di fornire la dimostrazione della disponibilità di un reddito sufficiente proveniente da fonte lecita» (v. ancora Tar Milano, I, n. 1431/2022) e che tale dimostrazione «è garanzia che il cittadino extracomunitario non si dedichi ad attività illecite o criminose» (v. ex multis Consiglio di Stato, III, 30 gennaio 2019, n. 749). La giurisprudenza amministrativa, inoltre, ha in più occasioni sottolineato che «la valutazione della pubblica amministrazione in ordine al possesso del requisito di un reddito minimo per il sostentamento, non deve solo limitarsi ad una mera ricognizione della sussistenza di redditi adeguati nei periodi pregressi, ma deve consistere anche in un giudizio prognostico, che tenga conto delle occasioni lavorative favorevoli sopravvenute nelle more dell'adozione del rigetto e conosciute dall'amministrazione» (cfr. ex multis Tar Firenze, II, 18 ottobre 2021, n. 1338).
T.A.R. Lombardia, sede di Milano, sez. I, 2 settembre 2022, n. 1958

Istanza rinnovo permesso di soggiorno – Ritardo nella presentazione – Natura ordinatoria dei termini – Assenza di forza maggiore
È interpretazione ormai consolidata che i termini relativi al rinnovo del permesso di soggiorno non hanno natura perentoria, bensì ordinatoria ed acceleratoria, rispondendo al fine di consentire il tempestivo disbrigo della relativa procedura ed evitare che lo straniero possa trovarsi in situazione di irregolarità rispetto alla normativa che ne consente il soggiorno in Italia, sicché non costituisce di per sé idonea ragione di diniego del rinnovo del permesso di soggiorno la presentazione della relativa istanza oltre il termine previsto dalla norma citata (CdS., Sez VI, n. 5240/2006). Questo insieme di considerazioni va bilanciato con la concomitante esigenza, sottesa al sistema normativo che regola la materia, di evitare che sia rimessa alla totale discrezionalità dell'interessato la scelta relativa ai tempi di presentazione dell'istanza di rinnovo, con conseguente riconoscimento della possibilità di permanere in una situazione di irregolarità, in contrasto con le disposizioni del TU sull'immigrazione che regolano l'ingresso e la permanenza dello straniero extracomunitario nel territorio dello Stato. D'altronde, il sistema di termini risponde all'ulteriore preciso scopo di evitare l'elusione delle stabilite regole che presidiano il rinnovo dei permessi di soggiorno e le modalità di immigrazione secondo i flussi prefissati, laddove la possibilità che queste ultime siano superate, sempre che vi sia capienza, è limitata solo ed esclusivamente all'ipotesi della tempestiva richiesta, dimostrativa dell'esistenza di circostanze idonee a comprovare un effettivo inserimento lavorativo e sociale dello straniero nel territorio nazionale. All'insieme di tali ragioni sistematiche si ricollega l'onere, per l'interessato, di provare le ragioni di “forza maggiore” che gli hanno impedito di presentare istanza tempestiva (CdS n. 4492/2011).
Cons. Stato, sez. III, 8 settembre 2022, n. 7849

Necessità del visto – Richiesta del permesso di soggiorno – Esenzione
L'art. 4, comma 1 del T.U. n. 286/1998 in materia di “Ingresso nel territorio dello Stato” dispone che “L'ingresso nel territorio dello Stato è consentito allo straniero in possesso di passaporto valido o documento equipollente e del visto d'ingresso, salvi i casi di esenzione, e può avvenire, salvi i casi di forza maggiore, soltanto attraverso i valichi di frontiera appositamente istituiti”. L'art. 22, comma 8 del medesimo testo unico in materia di “Lavoro subordinato a tempo determinato e indeterminato” dispone altresì che “Salvo quanto previsto dall'articolo 23, ai fini dell'ingresso in Italia per motivi di lavoro, il lavoratore extracomunitario deve essere munito del visto rilasciato dal consolato italiano presso lo Stato di origine o di stabile residenza del lavoratore”. Ne consegue che la necessità del visto di ingresso è ineludibile e che risulta pertanto irrilevante la circostanza che il ricorrente sia nato in Italia, non essendo cittadino italiano, bensì straniero e che in passato, in quanto minorenne, sia stato inserito nel permesso di soggiorno della madre. Ciò che rileva è che il predetto soggetto non risulta essere mai stato titolare di permesso di soggiorno in proprio e che dunque, in assenza di visto, non poteva entrare regolarmente in Italia.
T.A.R. Toscana, Firenze, sez. II, 8 settembre 2022, n. 998
Art. 32, d.lgs. n. 286 del 1998 – Conversione permesso di soggiorno – Parere Comitato per i minori stranieri – Discrezionalità Questura
L'art. 32, d.lgs. n. 286 del 1998, contempla due distinte ipotesi di conversione del permesso di soggiorno: quella nella quale a richiedere la conversione del permesso di soggiorno sia uno straniero destinatario di un provvedimento di affido o sottoposto a tutela e quella in cui invece il permesso venga richiesto da uno straniero ammesso a progetti di integrazione sociale o civile; mentre nella prima ipotesi è sufficiente, al fine di una eventuale determinazione positiva da parte della Questura, l'assenza del parere negativo da parte del Comitato per i Minori Stranieri, nel secondo caso è invece necessaria la sussistenza di tutti i requisiti previsti dall'art. 1 ter. Nella prima ipotesi, il parere da rendere ai sensi dell'art. 33 da parte del Comitato per i minori stranieri si configura come prerequisito obbligatorio ma non sempre vincolante per l'amministrazione. È d'uopo dunque effettuare un distinguo: nel caso in cui il parere abbia contenuto negativo, l'amministrazione sarà vincolata a rigettare l'istanza, mentre nel caso in cui abbia contenuto positivo, così come nel caso in cui il Comitato non si esprima, la Questura resterà libera di effettuare una valutazione discrezionale in ordine alla possibilità di concedere la conversione del permesso di soggiorno per minore età in altro permesso di soggiorno. Tale conclusione è suffragata dalla lettera della norma, che dispone che il permesso di soggiorno […] può (e non deve) essere rilasciato […] ai minori stranieri non accompagnati, affidati ovvero sottoposti a tutela, previo parere positivo del Comitato per i minori stranieri (il parere negativo dunque osta all' accoglimento dell'istanza); tuttavia il mancato rilascio del parere richiesto non può (di per sé solo) legittimare il rifiuto della conversione del permesso di soggiorno. Da quanto sinora evidenziato, risulta chiaro dunque che la Questura conserva un potere discrezionale in merito all'istanza di conversione.
Cons. Stato, sez. III, 9 settembre 2022, n. 7875