I temi di NT+L'ufficio del personale

Struttura organizzativa, licenziamenti disciplinari, avvocatura interna e concorsi

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di Gianluca Bertagna

La rubrica settimanale con la sintesi delle novità normative e applicative sulla gestione del personale nelle Pa.

Competenza sulla struttura organizzativa dell’ente

Il Consiglio di Stato, nella sentenza 6 settembre 2024 n. 7482, ha confermato che l’individuazione, modifica o soppressione dei servizi e degli uffici e la relativa distribuzione delle risorse umane (nel contesto delle strutture organizzative di massimo livello, individuate dalla giunta comunale) è di competenza dei dirigenti, i quali gestiscono (tutte) le risorse assegnate. Secondo le norme vigenti, infatti, la competenza della giunta è limitata all’individuazione delle sole strutture di massima dimensione, quale atto di macro-organizzazione; all’interno di queste, la suddivisione in servizi e/o uffici nonché l’attribuzione a questi delle risorse umane è di competenza dirigenziale.
La violazione di questo principio, fondamentale per garantire la separazione delle funzioni di indirizzo e controllo da quelle di gestione, determina l’illegittimità degli atti assunti.

Licenziamento disciplinare, legittimo il controllo datoriale sulle attività svolte in malattia

Sono legittime le attività investigative disposte dal datore di lavoro al fine di verificare le attività incompatibili (con lo stato di morbilità e/o con il recupero pisco-fisico) svolte dal dipendente durante l’assenza per malattia o infortunio. Sulla base della normativa e della contrattazione ne consegue il licenziamento disciplinare. Detti controlli esulano dal divieto operante in ambito lavorativo (luogo di lavoro) e non sono tesi a riscontrare lo stato di infermità, rimessi esclusivamente alle competenti autorità sanitarie.
È quanto affermato dalla Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza del 2 agosto 2024, n. 21766.

Dipendenti dell’avvocatura interna e badge

«La decisione è conseguente al ricorso presentato dal consiglio dell’ordine degli avvocati locale avverso la circolare della Regione Campania. I dipendenti presso l’ufficio legale dell’amministrazione sono soggetti all’obbligo di attestazione della presenza in servizio, a mezzo badge, dal momento che detto sistema di rilevazione non costituirebbe, per loro, una indebita ingerenza nell’esercizio della professione forense, bensì una forma di controllo coerente rispetto al rapporto di lavoro subordinato in essere. Per il consiglio “non vi è dubbio che l’avvocatura degli enti pubblici costituisce un’entità organica autonoma nell’ambito della struttura disegnata dalla sua pianta organica a salvaguardia delle prerogative di libertà nel patrocinio dell’amministrazione che si caratterizza per l’assenza di ingerenza nelle modalità di esercizio della professione, ma resta pur sempre un dato normativo ineludibile cioè l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato nel caso di specie con la Regione. E allora, fermo restando che tutte le attività esterne presso uffici giudiziari saranno riscontrate dall’amministrazione attraverso le autodichiarazioni che gli avvocati presenteranno a tempo debito, in occasione della loro presenza presso gli uffici comunali non vi è alcuna ragione per cui non timbrino all’ingresso e all’uscita. Questa modalità di controllo non lede in alcun modo la libertà di patrocinio ma è la conseguenza dell’essere, seppur con la particolarità prima ricordata, comunque dipendenti pubblici, e come tali soggetti al controllo del datore di lavoro”». È quanto si ricava dalla newsletter n.16 del 6 agosto 2024, dell’Aran nella quale è stata segnalata la sentenza del Consiglio di Stato, sezione VII, 3 luglio 2024, n. 5878.

Quesiti a risposta multipla nelle prove di concorso

Il Tar Lazio-Roma, sezione IV-ter, nella sentenza 6 settembre 2024, n. 16145, ha evidenziato che quando il quesito a risposta multipla fa espresso riferimento a una norma di legge (con formule tipo: in base all’articolo …; secondo quanto disposto dall’articolo …; a norma di …; eccetera) la sola risposta corretta è quella perfettamente coincidente con il dettato normativo. Pertanto – a parte l’ipotesi di risposte incomplete predisposte dalla commissione, la cui legittimità deve essere valutata caso per caso – i candidati non possono rivendicare la presenza di risposte “parzialmente corrette” o “parzialmente errate”. Infatti, riconoscere la possibilità di un frazionamento selettivo della risposta, nel tentativo di isolare un qualche elemento cui ancorare la pretesa a una valutazione positiva, significherebbe consentire la creazione di una nuova e inesistente risposta, non prevista dal quesito.