Le modifiche proposte alla disciplina Cup contenute nella bozza di decreto delega fiscale
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Con questo approfondimento si prosegue l’esame delle modifiche contenute nella bozza di decreto legislativo di attuazione della delega al Governo per la riforma fiscale riferite al Canone patrimoniale di concessione, autorizzazione o esposizione pubblicitaria (per la prima parte si veda Nt+ Enti locali & edilizia del 1° novembre).
Articolo 26, comma 1, lettera D: la modifica del comma 821
Nel testo si legge: «al comma 821, dell’articolo 1 della legge 27 dicembre 2019, n. 160 sono apportate le seguenti modificazioni:1) alla lettera c) il numero “20.000” è sostituito con: “10.000”; 2) alla lettera g) dopo la parola “presumendo” aggiungere “in ogni caso».
Le due modifiche proposte vanno ad interessare 2 punti del comma 821, la lettera c) che riguarda il Piano generale degli Impianti Pubblicitari e la lettera g) che riguarda l’applicazione e il calcolo dell’indennità prevista per le occupazioni e la diffusione di messaggi pubblicitari realizzate abusivamente.
La modifica proposta renderebbe obbligatorio dotarsi di un PGIP a tutti i comuni con popolazione superiore a 10mila abitanti. Una scelta per allargare la platea di comuni che devono necessariamente dotarsi di un piano.
Scelta più che condivisibile per gli effetti positivi che l’adozione di un piano per gli impianti può portare nel contesto del territorio di un ente locale.
L’obiettivo è quello di regolamentare la distribuzione degli impianti pubblicitari sul territorio di competenza, al fine di razionalizzare il posizionamento dei manufatti nel rispetto delle prescrizioni e dei vincoli imposti dai vigenti strumenti urbanistici Comunali e dalle norme generali in materia di installazioni pubblicitarie. Inoltre, deve indicare i dettami generali relativamente alle tipologie dei manufatti consentiti ed alle superfici massime ammissibili per tipologia.
La realizzazione del Piano generale degli impianti pubblicitari deve inoltre identificare, coerentemente con gli indirizzi generali, alcune finalità qualificanti, con particolare riguardo ai temi, della sicurezza: riferita alla mobilità in generale (pedonale e veicolare), con attenzione sia agli aspetti più specificamente visivi sia a quelli di tipo antinfortunistico; del decoro e della compatibilità ambientale: con l’intento di evitare che nel rapporto tra pubblicità e ambiente quest’ultimo non debba essere penalizzato, ma, al contrario, possa trovare giovamento dall’inserimento di mezzi pubblicitari, progettati, costruiti e localizzati secondo criteri di compatibilità ambientale; della funzionalità: intesa anzitutto come occasione di aumento della fruibilità del contesto cittadino, laddove il Piano, oltre a governare l’esistente e le forme tradizionali di pubblicità, si pone come strumento di indirizzo, disciplinando l’inserimento di mezzi pubblicitari di concezione più moderna associati a funzioni di pubblica utilità oppure a elementi di arredo urbano.
Ecco quindi che con la modifica proposta si vuole portare più comuni possibili ad organizzarsi con un PGIP, strumento che purtroppo in questi anni è stato sottovalutato da moltissime amministrazioni locali.
la seconda modifica proposta riguarda la lettera G del comma 821 con l’aggiunta delle parole “in ogni caso” nel contesto della frase dedicata alle occupazioni ed esposizioni pubblicitarie abusive temporanee. Con questa modifica, il Legislatore va a chiarire la portata della disposizione con la quale si stabilisce la durata da utilizzare per il calcolo dell’indennità.
Il concetto di indennità deriva dalla disciplina COSAP, in particolare trova origine dalla lettera G del comma 2 dell’articolo 63 del Dlgs 446/1997. Il canone, a differenza dei regimi tributari, è strettamente vincolato al rilascio di un atto amministrativo di concessione o di autorizzazione, così che, tutte le volte che siamo di fronte ad una occupazione di suolo pubblico abusiva o ad una esposizione pubblicitaria senza titolo, diventa illogico parlare di canone. Si è voluto pertanto prevedere una diversa voce, l’indennità appunto, da utilizzare tutte le volte che si deve richiedere il pagamento derivante proprio dall’occupazione o dall’esposizione pubblicitaria abusiva o difforme rispetto al titolo.
Il Legislatore in questo senso ha previsto a carico di chi realizza un abuso, un’obbligazione patrimoniale che sia quanto meno uguale a quella che avrebbero pagato se avesse richiesto la concessione o l’autorizzazione all’ente competente. Il legislatore ha previsto di più, dando la possibilità agli enti di definire l’importo dell’indennità maggiorando fino al 50 per cento rispetto a quanto avviene con le tariffe del canone ordinario.
L’indennità come detto si innesca nel momento in cui si deve calcolare il dovuto per un’occupazione di suolo pubblico abusiva, ovvero senza concessione, o con destinazione d’uso diversa da quella prevista in concessione, oppure per una diffusione di messaggi pubblicitari realizzata senza la preventiva autorizzazione, ovvero risultanti non conformi alle condizioni stabilite dall’autorizzazione per forma, contenuto, dimensioni, sistemazione o ubicazione.
Il Legislatore nel punto G ha previsto il criterio di calcolo da adottare quando ci troviamo di fronte ad una occupazione/esposizione abusiva, chiarendo che per le occupazioni e la diffusione di messaggi pubblicitari realizzate con impianti o manufatti di carattere stabile, si dovrà partire dalla tariffa permanente, ovvero quella definita ad anno solare, il cui importo è stato fissato al comma 826, ma che ogni ente potrà modificare in base ai propri equilibri, mentre, per le occupazioni temporanee, il Legislatore ha adottato un criterio di calcolo basato su una finzione giuridica, ovvero ipotizzando l’occupazione o l’esposizione pubblicitaria temporanea come se fosse stata realizzata nei trenta giorni antecedenti a quella del verbale di accertamento.
Una misura che deve intendersi come modalità di calcolo afflittiva nei confronti del trasgressore che ha occupato/esposto abusivamente. Un metodo di calcolo che si rende necessario per non svilire l’attività di accertamento che viceversa dovrebbe eseguirsi solo per la data in cui è stata accertata l’occupazione o l’esposizione pubblicitaria abusiva. Quindi, a tutti gli effetti, una misura afflittiva al fine di prevenire l’evento contrario all’ordinamento cui si riferiscono, e risarcitoria per il danno procurato alla Pa e alla collettività.
Su questo tema si era aperto tuttavia un dibattito, perché se è corretto e pacifico prevedere di calcolare il dovuto per una occupazione o esposizione temporanea applicando il calcolo di 30 giorni, è da valutare se in sede di contraddittorio con il contribuente, la misura possa o meno essere rettificata davanti ad una prova documentale o testimoniale che porti a definire inequivocabilmente una durata inferiore ai 30 giorni stabiliti dal legislatore. Diventa dirimente il tipo di presunzione derivante dal verbale di accertamento. Potrebbero infatti porsi profili di criticità tra presunzione iuris et de iure, che non ammette prova contraria, e iuris tantum, che invece la ammette.
Da una parte c’era chi riteneva che la scelta del Legislatore fosse legata meramente ad un criterio di calcolo. Un utilizzo del conteggio per 30 giorni senza alcuna effettiva presunzione sulla effettiva durata, ma basandosi solamente sulla presenza dell’abuso quel determinato giorno individuato nel verbale del pubblico ufficiale. In questo caso eventuali prove sull’effettiva durata dell’occupazione non sarebbero state oggetto di valutazione o possibile rettifica del provvedimento emesso. Dall’altra invece chi riteneva che l’accertamento si basasse su una effettiva presunzione di occupazione, e il calcolo dei 30 giorni derivasse proprio da questo, e di conseguenza si tratti di una cosiddetta presunzione iuris tantum e quindi soggetta a prova contraria.
Con la modifica proposta si va proprio a dirimere la questione e si andrà “in ogni caso” ad applicare la durata di 30 giorni come criterio di calcolo da utilizzare tutte le volte che si accerta un’occupazione o una esposizione pubblicitari abusiva temporanea, indipendentemente dalla effettiva durata.
Articolo 26, comma 1, lettera E: la modifica del comma 823
Nel testo si legge: «al comma 823 in fine è aggiunto il seguente periodo: “Nel caso di installazione di una pluralità di segnali turistici o di territorio o di frecce direzionali, su un unico impianto pubblicitario, anche riferiti a soggetti ed aziende diverse, la superficie da assoggettare al canone unico patrimoniale è quella dell’intero impianto oggetto della concessione o dell’autorizzazione. Nell’ipotesi in cui i titolari del provvedimento di concessione o di autorizzazione all’installazione dell’impianto sono diversi, il canone va liquidato distintamente, commisurandolo alla superficie del segnale o del gruppo segnaletico che è nella disponibilità di ciascuno di essi».
Con questa modifica si vuole definitivamente fissare una linea univoca di comportamento quando i singoli enti territoriali si trovano a calcolare il canone dovuto da iniziative che vedono la compresenza di più segnali all’interno dello stesso impianto. La proposta va nella direzione che prevede l’analisi di due requisiti. Uno oggettivo legato al manufatto che ospita i singoli messaggi, l’altro soggettivo che vincola la modalità di applicazione in base al numero di titolari delle concessioni o autorizzazioni in relazione al medesimo impianto.
La questione ha origini lontane, con sviluppi nel corso della vita dell’imposta sulla Pubblicità non univoci, anche se oggi piuttosto orientati nel ritenere ciascun messaggio autonomamente soggetto al pagamento del canone. Tuttavia con questa proposta di modifica si è sentita l’esigenza di disporre una linea, per certi versi in controtendenza, che trovi comunque un omogeneo trattamento su tutto il territorio nazionale.
Giusto pensare da parte del Legislatore a questa modifica, anche se il pensiero va subito alle molte altre situazioni non definite con l’introduzione del nuovo canone e che rappresentano ancora una criticità, ben superiore a questa, voluta proporre peraltro con una linea applicativa discutibile, che favorisce le ditte specializzate del settore e penalizza ancora una volta i soggetti attivi dell’entrata.
Tra gli aspetti da rilevare su questa disposizione c’è anche la sottintesa e definita attrazione nel presupposto applicativo delle indicazioni stradali e dei segnali turistici e di territorio. Già in passato su questo si era espressa la Corte di cassazione con l’ordinanza n. 8616/14, 17852/2004 seconda la quale: «le indicazioni stradali e i segnali turistici e di territorio che forniscono agli utenti informazioni necessarie o utili per la guida e la individuazione di località, itinerari, servizi e impianti, svolgono per la loro sostanziale natura di insegne, anche una funzione pubblicitaria tassabile, ai sensi dell’art. 5 D.Lgs. cit.. Non può, d’altra parte, non rilevarsi come le indicazioni oggetto di controversia siano state esposte in un contesto di esercizio d’attività commerciale, e, quand’anche non direttamente volte a promuovere l’immagine o i prodotti dell’impresa interessata, tuttavia, si rivelano utili o necessarie ad un più proficuo svolgimento dell’attività d’impresa .…».
Su criterio di “tassazione” invece la giurisprudenza nel corso degli anni aveva assunto un orientamento diverso rispetto a quanto contenuto nella proposta. Troviamo in particolare le sentenze di Corte di cassazione nn. 252/2012 e 10459/2018, relative all’ICP, in cui è stabilito, che la divulgazione tramite un unico mezzo pubblicitario di plurimi messaggi relativi ad aziende diverse, non consente di liquidare l’imposta in base alla complessiva superficie della figura geometrica rappresentata dal pannello dovendosi invece essere liquidate tante imposte per quanti sono i messaggi pubblicitari, arrotondando la superficie di ciascuna freccia.
In particolare la sentenza n. 10459/2018 ha affermato il principio secondo il quale nell’ipotesi di plurimi messaggi pubblicitari di aziende diverse collocati su un unico pannello, il tributo deve essere determinato in base alla superficie espositiva utilizzata da ciascuna delle imprese reclamizzate, indipendentemente dalle dimensioni del mezzo pubblicitario cumulativo.
Sulla scorta di questa sentenza si riteneva definitivamente superata l’indicazione contenuta nella risoluzione ministeriale 21 marzo 1994 n. 7/819 nella quale si chiariva che se le preinsegne risultano inserite, per effetto dell’atto autorizzatorio che ne consente l’esposizione, in una struttura fornita di cornice perimetrale in rilievo, ai fini del calcolo dell’imposta si deve tener conto della sola superficie del pannello.
Anche la nota del Mef 19899/2014 emessa successivamente alla sentenza della Cassazione n. 252/2012 doveva ritenersi superata dalla lettura della sentenza 10459/2018 che in modo preciso e inequivocabile ribadisce «… l’interpretazione sistematica della citata norma di cui all’art. 7 comma 1 e 2 del d.lgs n. 507/1993, in relazione all’art. 6, comma 2 del citato decreto, che estende al soggetto nel cui interesse è diffuso il messaggio pubblicitario la solidarietà per l’obbligazione tributaria posta a carico del titolare o comunque di colui che ha la disponibilità del “mezzo pubblicitrario»; previsione quest’ultima che, come espresso dalla succitata sentenza, non può che trovare esclusiva giustificazione razionale nell’indissolubile legame tra “mezzo” e “messaggio” pubblicitario individuato come fondamento del presupposto d’imposta”
La nota del Mef del 7 luglio 2014 prot. n.19899, aveva provato a sostenere che la sentenza della Corte di cassazione 252/2012 non atteneva in realtà alla determinazione e liquidazione dell’imposta, ma solo al caso diverso in cui si manifesti un inadempimento, con conseguente necessità di procedere con distinte quantificazioni a seconda dei soggetti solidalmente responsabili.
Questa interpretazione era stata evidentemente superata come detto dalla sentenza n. 10459/2018 che oggi a sua volta verrebbe travolta dalla modifica di Legge proposta, che parte dall’individuare il soggetto passivo per definire di conseguenza il criterio di misurazione a applicazione del canone.
Ecco spiegata la scelta di inserire questa disposizione nel comma 823 dedicato al soggetto passivo, piuttosto che nel successivo comma 825 dedicato ai criteri di definizione del canone per la componente pubblicitaria.
Sulla base della proposta di legge, diventa infatti dirimente la presenza di uno oppure più concessionari dell’impianto per procedere al calcolo delle relative superfici imponibili. Criterio che, come detto, va in diversa direzione rispetto all’orientamento recente assunto dalla Corte di cassazione.
Delle proposte di modifica della disciplina CUP, finora analizzate questa sembra quella meno necessaria e la meno aderente agli orientamenti fin qui assunti dagli uffici. Comprensibile la scelta di ancorare il criterio ai soggetti in possesso del titolo amministrativo in aderenza all’impostazione generale dell’entrata, tuttavia il presupposto viene realizzato sui singoli messaggi, in modo autonomo e la stessa commercializzazione da parte delle società pubblicitarie non segue la logica dell’intero impianto ma del singolo messaggio, così che sarebbe naturale abbinare a ciascun segnale una autonoma imposizione e conseguente criterio di misurazione e arrotondamento.
Articolo 26, comma 1, lettera F: la modifica del comma 825
Nel testo si legge: «al comma 825 dopo le parole “mezzo pubblicitario,” sono inserite le seguenti: “esclusa quella relativa agli elementi che non posseggono alcun effetto pubblicitario»
Con questa ultima modifica proposta si vuole definitivamente chiarire, anche se nessuno lo dubitava, che la superficie da prendere in considerazione è sola quella espositiva, utilizzabile ai fini pubblicitari, escludendo come logico che sia, la parte di impianto strutturale e funzionale, indentificata nella cornice e nei supporti per renderlo self standing, ovvero, per usare le parole della proposta di modifica, escludendo dal calcolo della superficie quegli elementi del mezzo che non hanno effetto pubblicitario.
Le sentenze su questo tema si sono già orientate nella direzione oggi proposta, così che davvero credo che nessun ufficio oggi possa ipotizzare di applicare il canone su cornici o elementi strutturali non destinati a diffondere un messaggio pubblicitario.
Tra le tante si richiama la sentenza del 30.10.2009 n. 23023, con la quale la Corte di cassazione aveva stabilito che la superficie del mezzo circostante il messaggio pubblicitario resta esente dall’imposizione in quanto sia costituita da una cornice oggettivamente distinta dallo spazio destinato alla pubblicità, che sia anche strutturalmente inidonea ad essere utilizzata per la diffusione del messaggio.
Assodato quindi che la modifica confermi questa logica di tassazione, affrontiamo una possibile seconda chiave di lettura del testo proposto, supponendo che l’intenzione della modifica fosse rivolta ad una casistica diversa.
Il pensiero va ai casi in cui la pubblicità viene effettuata su fascioni o strutture che fanno parte dell’impianto pubblicitario ma che non hanno le caratteristiche di diffondere un messaggio pubblicitario.
Nella risoluzione ministeriale Finanze del 18/12/1997, n.231/E si leggeva: «…dover considerare come mezzo pubblicitario non l’intero fascione ma i vari mezzi pubblicitari che su di esso sono apposti. Poiché, infatti, i cassonetti in questione occupano solo in minima parte la superficie del fascione, non può essere riconosciuto a quest’ultimo altro effetto che quello di abbellire l’ingresso dell’esercizio commerciale. Una diversa soluzione sarebbe sicuramente contraria allo spirito della legge, in quanto non e’ possibile estendere la definizione di superficie imponibile a strutture di mero supporto strumentale prive di effetto pubblicitario».
Questa risoluzione aprì una serie di contenziosi proprio sull’interpretazione da riservare a quei casi dove in discussione non c’erano cornici o pali di sostegno, ma parti di un “fascione” che ospitava al suo interno dei distinti impianti pubblicitari. La valutazione in questi casi diventa meno scontata e ogni singolo caso necessità di un approfondimento. In questo senso la risoluzione del ministero complicò le cose, aprendo ad interpretazioni distorte, ritendo dei fascioni, con chiari richiami all’attività, esclusi dalla superficie imponibile.
Sulla scorta di questa problematica troviamo diverse sentenza tra le quali la sentenza di Cassazione n. 12684/2012, con la quale i giudici hanno chiarito come: «se il supporto – nella specie il “fascione” – è destinato contestualmente sia a reggere la pubblicità sia ad altre funzioni, bisogna distinguere ciò che fa parte del “mezzo pubblicitario” da ciò che non ne fa parte. Ne fa parte tutto ciò che collega graficamente il “mezzo” al “messaggio”, se per rilievo dimensionale, peculiari caratteristiche coloristiche e riferimenti grafici e/o cromatici a marchi e/o insegne aziendali dia luogo a un mezzo globalmente più “attirante”.
In questo contesto la proposta di modifica non si pone in contrasto con quanto sostenuto dalla Corte di Cassazione che richiama la soggettività passiva per il fascione che, per caratteristiche, colore e riferimenti grafici, accresce l’efficacia pubblicitaria dei diversi mezzi collocati su di esso.
Quest’ultima proposta, appare quindi poco incisiva e non apporta significativi miglioramenti sui criteri di calcolo del canone per le diffusioni pubblicitarie, oggi regolati dal comma 825.
Ben altre modifiche sarebbero state necessarie, sia per completare lo stesso comma 825, sia per integrare le molte disposizioni riguardanti la disciplina CUP che invece non hanno trovato considerazione da parte degli estensori della proposta di modifica.
(*) Docente Anutel
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